martedì 29 gennaio 2013

Sentenza del 349/2013: il consumatore ha diritto a conoscere le segnalazioni negative fatte dalla finanziaria Corte di cassazione

Secondo una sentenza 9 gennaio 2013 n. 349 il consumatore ha diritto a conoscere le segnalazioni negative fatte dalla finanziaria Corte di cassazione ‐ Sezione I civile.

La Corte di Cassazione nella sentenza del 349/2013 ha riconosciuto il diritto a chi ha stipulato un contratto finalizzato all'accesso al credito, di conoscere se esistono "segnalazione negative" relativamente al suo merito creditizio.
Spesso queste segnalazioni negative sono fatte anche all'insaputa del richiedente, quindi consigliamo di prestare attenzione alle richieste che si fanno tramite operatori o anche tramite portali internet.

In ogni caso il consumatore avrà diritto a richiedere ed avere soddisfazione delle motivazioni e del contenuto integrale delle informazioni contenute nelle banche dati creditizie entro 15 giorni

domenica 27 gennaio 2013

FAMIGLIE NUMEROSE: RICHIEDI LA TARIFFA AGEVOLATA PER LA FORNITURA IDRICA

Fino al 31 marzo 2013 è possibile presentare istanza per richiedere l'applicazione della tariffa agevolata per famiglie numerose: l'applicazione è sui consumi relativi all'anno 2012.
  • BENEFICIARI AVENTI DIRITTO. Gli utenti titolari di un contratto di fornitura idrica residenti nell'immobile dove vi è la fornitura con 4 o più figli a carico. I figli sono considerati a carico se nel corso dell'anno 2012 non hanno maturato redditi per un ammontare superiore a € 2.840,51
  • MODALITA' DI PRESENTAZIONE DELL'ISTANZA: Il titolare della fornitura è tenuto a depositare istanza scritta entro il 31/03/2013. L'istanza va ripetuta ogni anno.
  • AMBITO DI APPLICAZIONE. La tariffa viene applicata ai consumi della fornitura dove risiede il nucleo famigliare numeroso e solo ai consumi relativi all'anno precedente alla richiesta.
Il nostro staff rimane a Vostra disposizione. Contattaci e prendi un appuntamento. Ti aiuteremo a richiedere un tuo diritto.

A.E.C.I. FELTRE sbarca nel territorio di PRIMOLANO




 
 
 
Grazie alla collaborazione con lo staff del Centro di Bellezza
A.E.C.I. FELTRE
il 18 febbraio 2013 riceve a Primolano.

 Cura, Bellezza e Benessere della persona a 360°
il focus aziendale del Centro Beauty Garden,
Difesa e Tutela del Consumatore a 360°
quello di A.E.C.I. FELTRE
 
 
 
Grazie alla gentile accoglienza ed all'ospitalità di Barbara e Francesco A.E.C.I. | ASSOCIAZIONE EUROPEA CONSUMATORI INDIPENDENTI può ricevere gli associati ed i nuovi tesserati anche a PRIMOLANO, in via Capovilla. 
 
Alcuni dei servizi offerti da A.E.C.I. FELTRE | ASSOCIAZIONE EUROPEA CONSUMATORI INDIPENDENTI:
  • utenze e servizi domestici: telefonia, bollette....
  • Contenzioso tributario e fiscale
  • Anatocismo ed usura bancaria
  • Equitalia, Agenzia delle Entrate...
  • C.A.F. - Centro Assistenza Fiscale
  • Studio ed analisi della documentazione bancaria
  • gestione contenziosi ed impagati
  • pratiche INPS e INAIL
  • mediazione finanziaria e creditizia
  • tariffe e qualità servizi bancari ed assicurativi
  • credito al consumo ed assicurazioni
  • condominio e multiproprietà
Annota la data fissata per lo sportello territorialedi Primolano: 18 febbraio 2013.
Per richiedere un appuntamento contattare il Centro Beauty Garden al numero 0424 433887 oppure all'indirizzo mail info@newbeautygarden.com
In alternativa puoi contattate la nostra associazione al 347 74 21 260 oppure all'indirizzo mail feltre@euroconsumatori.eu
 
Ti aspettiamo per un connubbio fra bellezza e consulenza !!!
 

Nullo l’avviso di accertamento se non indica l’aliquota applicata

La Cassazione è tornata su un tema assai caldo: quello della trasparenza degli atti amministrativi e, in particolare, quelli del fisco. In una recente sentenza [1], infatti, la Suprema Corte ha ricordato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’avviso di accertamento che non riporti l’aliquota applicata viola il principio di precisione e chiarezza delle indicazioni [2]. L’omissione di tale indicazione determina la nullità dell’atto.
Non è sufficiente neanche la semplice indicazione della sola aliquota minima e massima applicabile.

La Suprema Corte ritiene infatti che il contribuente debba essere posto in grado di comprendere le modalità di applicazione dell’imposta e la ragione del suo debito senza dover ricorrere all’ausilio di un esperto.
 
In pratica
Se l’avviso di accertamento inviato dall’Agenzia delle Entrate non indica la specifica aliquota applicata su ciascun importo imponibile il contribuente può ricorrere alla Commissione Tributaria competente per chiedere l’annullamento dell’atto. Prima di ciò dovrà comunque esperire la mediazione obbligatoria.
Il contribuente potrebbe, in via alternativa e preventiva al ricorso, scegliere di presentare una richiesta in autotutela, con un’apposita istanza inviata all’Agenzia delle Entrate. L’autotutela, tuttavia, non sospende l’atto e neanche i termini per proporre ricorso in via giudiziaria. Pertanto, è sempre bene evitare che detti termini scadano in attesa di una risposta dell’Amministrazione, che potrebbe poi essere anche negativa.
[1] Cass. sent. n. 1645/2013 del 24.01.2013. Cfr. anche Cass. sent. n. 15381/2008; Cass. sent. n. 4187/2009.
[2] Ai sensi dell’art. 42 del DPR 29.09.1973 n. 600.
 

ATTENZIONE A MAIL TRUFFA PER RUBARE DATI BANCARI - phishing

Ci tentano in tutte le salse quindi fate sempre attenzione a richieste sospette in cui vi chiedono di verificare i dati del conto.

L'intento è quello di catturare con siti civetta i vostri codici di accesso bancari di modo da usarli per prelievi o raggiri.
La mail è di questo tipo:
Gentile xxxxx,
Abbiamo trovato una attivitá sospette sul tuo conto il 12 gennaio. É necessario confermare l'attivitá del tuo conto prima di poter continuare a utilizzare il tuo conto. Dopo la verifica, provvederemo a rimuovere eventuali restrizioni sul tuo conto.
É necessario accedere al link qui sotto :
http://www.intesasanpaolo.com/scriptIbve/retail20/RetailIntesaSanpaolo/ita/home/ita_home.jsp?
Questa e una misura di sicurezza per contribuire progettata a proteggere voi ed il vostro conto.
Chiediamo scusa per eventuali inconvenienti.

 

Fate attenzione

Non rispondete e segnalateCi quanto ricevete di sospetto
 
(Fonte: A.E.C.I. VERONA 2 - Dott. Obler Rizzi)

Condomini morosi: non viola la privacy rivelare i nomi di chi non paga

Ciascun condomino ha diritto di conoscere il nome di quanti non sono in regola coi pagamenti: l’amministratore non può sottrarsi a tale richiesta, appellandosi al rispetto della riservatezza.
Lo ha chiarito, di recente, la Cassazione [1], tornata a parlare di rapporti tra il codice della privacy [2] e i condomini.

Per garantire il buon andamento e la trasparenza nell’amministrazione, è lecita la comunicazione delle informazioni concernenti le posizioni di dare/avere dei singoli condomini a tutti gli altri.

Tali informazioni possono essere fornite dall’amministratore
a) in sede di rendiconto annuale;
b) in sede di assemblea;
c) nell’ambito delle informazioni periodiche trasmesse dall’amministratore nell’assolvimento dei propri obblighi;
d) su richiesta di ciascun condomino.

È quest’ultimo il punto cruciale: ciascun partecipante al condominio ha un potere di vigilanza e di controllo sull’attività di gestione delle cose, dei servizi e degli impianti comuni che gli consente di richiedere all’amministratore informazioni sulla situazione contabile del condominio, comprese quelle che riguardano eventuali morosità degli altri condomini.

In pratica
In qualsiasi momento, ciascun condomino può chiedere all’amministratore di fornirgli un prospetto in cui siano indicati i criteri di calcolo – secondo millesimi – delle spese condominiali nonché l’elenco di chi ha pagato e chi invece non lo ha ancora fatto. Fornire tali informazioni non viola la privacy dei condomini.

[1] Cass. sent. n. 1593 del 23.01.2013.
[2] In particolare, l’art. 24 d.lgs. n. 196 del 2003.
 

Cellulari: l’Agenzia Europea Ambiente lancia allarme tumori

Dopo il monito lanciato dalla Cassazione, a preoccupare i maniaci del mobile interviene ora l’Agenzia UE per l’ambiente che, da Bruxelles, tuona con un monito: prudenza!

Al mondo ci sono circa 5 miliardi di telefonini e ben 100 milioni di essi si trovano soltanto in Italia (una media di due apparecchi a persona). Sebbene non vi siano ancora evidenze scientifiche che dimostrino la correlazione tra le onde dei cellulari e dei telefoni portatili e l’insorgenza dei tumori – avverte l’Agenzia Ue per l’Ambiente – bisogna utilizzare con moderazione questi dispositivi, al fine di prevenire eventuali rischi. Indispensabili le precauzioni come l’uso degli auricolari.

Le categorie più a rischio sono i giovani con meno di 20 anni.

Più catastrofica, invece, l’opinione della Cassazione italiana che, solo qualche mese fa, aveva emesso una sentenza shock [1]. La Corte aveva riconosciuto valenza scientifica e probatoria a studi indipendenti che dimostrerebbero l’estrema pericolosità delle onde elettromagnetiche dei telefonini e dei portatili. Detti studi, al contrario delle ricerche finanziate dalle industrie dei cellulari, evidenziano un maggior rischio di tumori negli utilizzati forti di telefonia mobile. In base a tali dimostrazioni, la Suprema Corte aveva ritenuto raggiunta la ragionevole certezza per riconoscere il risarcimento del danno ai familiari superstiti di un dirigente di una multinazionale del telefono.

[1] Cass. sent. n. 1743/2012.
 

IMPRENDITORIA FEMMINILE: AGEVOLAZIONI PER € 5.000.000

La Giunta della Regione Veneto ha approvato il bando per l'ottenimento di agevolazioni agli investimenti di nuove PMI FEMMINILI nell'intento di "garantire la crescita economica e lo sviluppo sostenibile del modello socio-economico regionale, nonchè promuovere il lavoro femminile consentendo una sua qualificata presenza sul mercato".
L'azione si propone di incentivare l'imprenditoria femminile attraverso la concessione di contributi in conto capitale per la realizzazione di PMI o Consorzi di PMI a partecipazione prevalentemente femminile che non si configurino come continuazione di imprese preesistenti.
Sono state destinate a quest'iniziativa risorse pari a 5.000.000 di euro.
Si tratta di un Bando "a sportello" quindi l'istruttoria seguirà l'ordine cronologico di ricezione della domanda e fino ad esaurimento delle risorse disponibili. Le istanze potranno essere presentate a partire dalle ore 10.00 del 04 febbraio 2013
Sono ammessibili le spese sostenute e quietanzate dalle PMI a far data dal 01 luglio 2011, spese destinate al progetto approvato.
Tutte le attività del progetto approvato dovranno essere ultimate e quietanzate entro il 30 aprile 2014.
Invitiamo tutte le donne interessate all'assistenza ed alla consulenza in quest'ambito a contattarci ai nostri recapiti 347 7421260 oppure feltre@euroconsumatori.eu.
Il nostro staff è disponibile a garantirvi consulenza qualificata e dedicata.

AGEVOLAZIONI AGLI INVESTIMENTI PER NUOVE PMI GIOVANILI VENETE

La Giunta della Regione Veneto ha approvato il bando per l'ottenimento di agevolazioni agli investimenti di nuove PMI giovanili nell'intento di "garantire la crescita economica e lo sviluppo sostenibile del modello socio-economico regionale, nonchè promuovere il lavoro giovanile consentendo una sua qualificata presenza sul mercato".
 
L'obiettivo dell'azione consiste nell'agevolare la costituzione, da parte di giovani, di nuove imprese individuali, società cooperative nei settori produttivo, commerciale e dei servizi, che non si configurino come continuazione di imprese preesistenti, attraverso la concessione di contributi in conto capitale (sino al concorrere del 50% dei costi del progetto) per la realizzazione di investimenti da parte di PMI o consorzi di esse.
 
Sono state destinate a quest'iniziativa risorse pari a 4.000.000 di euro.
 
Si tratta di un Bando "a sportello" quindi l'istruttoria seguirà l'ordine cronologico di ricezione della domanda e fino ad esaurimento delle risorse disponibili. Le istanze potranno essere presentate a partire dalle ore 10.00 del 04 febbraio 2013
 
Sono ammessibili le spese sostenute e quietanzate dalle PMI a far data dal 01 luglio 2011, spese destinate al progetto approvato.
Tutte le attività del progetto approvato dovranno essere ultimate e quietanzate entro il 30 aprile 2014.
 
Invitiamo i giovani interessati all'assistenza ed alla consulenza in quest'ambito a contattarci ai nostri recapiti 347 7421260 oppure feltre@euroconsumatori.eu.
Il nostro staff è disponibile a garantirvi consulenza qualificata e dedicata.
 

NUOVO ISEE PER STIDENTI E CONIUGI: ADDIO AL LIMITE DEI 6.500 EURO

Gli studenti universitari che intendono sfruttare l’Isee della famiglia di appartenenza per ottenere sconti sulle tasse universitarie dovranno dire addio al limite fisso dei 6.500 euro annui di reddito. Il nuovo Isee articola le tasse universitarie per fasce e costituisce punto di riferimento per moltissimi servizi rivolti agli studenti, ad esempio per borse di studio, prestiti d’onore e residenze universitarie.

La prima novità per l’Isee riguarda il nucleo familiare: anche il coniuge non separato, che risiede altrove, viene attratto nella “residenza unica” indicata dai due coniugi.

Per uscire dal nucleo familiare il soggetto deve avere figli con un’altra persona e deve versare assegni di mantenimento.

Le nuove regole inseriscono lo studente nella famiglia d’origine per il calcolo dell’Isee anche se abita fuori casa da almeno due anni, purché non sia titolare di un reddito superiore a 6.500 euro. La riforma dell’Isee cancella questo tetto. Un successivo decreto definirà la capacità di reddito dello studente che separa l’Isee dello studente da quello della famiglia di origine. Ovviamente, l’aggiornamento del limite indicherà una soglia più alta, dal momento che il suo scopo sarà quello di calcolare il “benessere” di un soggetto che si ritiene autonomo dal punto di vista economico.

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Articolo di Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore del 24.01.13, pag. 7

Strisce blu dilagano: parcheggi solo a pagamento e multe illegittime

Città invase dalle strisce blu: gli spazi di sosta a pagamento dilagano ormai ovunque.

Gli interessi di cassa dei Comuni vengono pretermessi al rispetto del codice della strada [1] che, invece, impone all’amministrazione di predisporre, nell’immediata vicinanza delle strisce blu, anche aree di parcheggio gratuite, senza dispositivi di controllo della durata della sosta. In difetto di tale adempimento tutte le multe elevate per mancato pagamento del ticket sono nulle.

Le Sezioni Unite della Cassazione hanno già chiarito questo aspetto, ma gli Enti locali fingono di non sentire [2]. La regola appena descritta patisce, invero, una serie di eccezioni (aree pedonali, ztl e zone di “particolare rilevanza urbanistica”); ma una recente indagine fotografica condotta da “Quattroruote” dimostra come anche le aree periferiche di molte città siano state furbescamente invase dalle strisce blu. Il che si riversa in un insormontabile svantaggio per chi, durante il giorno, vorrebbe lasciare l’auto fuori dal centro e proseguire coi mezzi pubblici.

Situazioni paradossali si registrano, per esempio, a Roma, dove gli stessi spazi sono gratuiti per i motocicli e invece a pagamento per le auto (v. foto); o a Milano, dove uno spazio blu viene ritagliato proprio in coincidenza con un’area definita “a rischio esplosione”.

Possibile che il rispetto della legge venga invocato solo quando, dal lato passivo, c’è il cittadino? Non si critichi, allora, il povero e tartassato italiano quando, nel suo immaginario, lo Stato è dipinto come un antagonista e non un alter ego, uno specchio del popolo.

In pratica
Chi riceve una multa per mancato pagamento del ticket sulle strisce blu può ottenere, dal Giudice di Pace, l’annullamento della contravvenzione se, nelle immediate vicinanze, il Comune non ha adibito anche aree di sosta gratuita (strisce bianche). Ciò però non vale nelle aree pedonali, nelle ztl e nelle zone di particolare rilevanza urbanistica.



[1] Art. 7, comma 8., cod. str.
[2] Cass. S.U. sent. n. 116 del 9.01.2007. Da ultimo, cfr. anche Trib. Roma, sen. n. 16885 del 7.09.2012

PER IL RITARDO DEL VOLO A RISARCIRE E' ANCHE L'AGENZIA VIAGGI

Se il volo arriva a destinazione con tre ore di ritardo, il passeggero può sempre ottenere il risarcimento dalla compagnia aerea (nella misura che va da 250 a 600 euro) oppure un buono viaggio o altri servizi.

Non solo. Il Tribunale di Milano [1] ritiene che l’utente atterrato con oltre tre ore di ritardo possa agire anche nei confronti del tour operator, chiedendogli i danni patrimoniali (non invece quelli morali).

Dunque, al risarcimento della compagnia si aggiunge quello della agenzia di viaggi poiché – si legge nella sentenza in commento – “l’organizzatore o il venditore che si avvale di altri prestatori di servizi è comunque tenuto a risarcire il danno sofferto dal consumatore, salvo il diritto di rivalersi nei loro confronti”.

[1] Trib. Milano sent. n. 12301/12.

L’amministratore di condominio e la mediazione dopo la riforma del condominio

La riforma considera la mediazione in materia di condominio come obbligatoria. In realtà [1] la Commissione Giustizia del Senato ha deciso di non apportare le necessarie modifiche, nonostante la Corte Costituzionale, il 23.10.2012, abbia dichiarato la illegittimità costituzionale. Infatti, l’adeguamento alla pronuncia della Consulta avrebbe comportato un ulteriore passaggio alla Camera, con il rischio di dover aspettare la prossima legislatura per l’approvazione definitiva.

Quindi, a meno che non vi sia una reintroduzione legislativa della mediazione obbligatoria – e vi sono diversi progetti di legge tendenti a ciò – si deve ritenere che la disciplina della mediazione in materia condominiale possa essere applicata solo come mediazione facoltativa o delegata dal magistrato. A ciò si aggiunga che, sino alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della decisione della Corte Costituzionale, la normativa sulla mediazione, anche in ambito condominiale, resta sempre obbligatoria, con l’onere, per la parte proponente, di dover comunque presentare un’istanza di mediazione prima di rivolgersi al tribunale.

Il testo – per le ragioni di cui sopra – prevede la mediazione in materia condominiale come obbligatoria. Prima della riforma, la dottrina era divisa sulla facoltà dell’amministratore di poter decidere se intervenire ad una procedura di mediazione. E infatti, prima della riforma, non si poteva considerare automatica la legittimazione dell’amministratore in materia di mediazione [2]. Tutto ciò non faceva che acuire le eventuali responsabilità dell’amministratore.

D’altra parte, i termini necessariamente ristretti che intercorrono tra la convocazione e la prima seduta di mediazione (e l’informativa spesso lacunosa dell’oggetto della mediazione) spesso impedivano la preventiva convocazione di un’assemblea di condominio, per fornire all’amministratore le necessarie indicazioni su come comportarsi rispetto al procedimento di mediazione.

La posizione dell’amministratore era perciò assolutamente “scomoda”. E infatti, la mediazione ha, da subito, posto all’amministratore un ristretto ventaglio di possibili scelte, nessuna delle quali era sicura e/o corretta.

Mentre, da un lato, era consolidato l’orientamento che riteneva rientrasse nell’ambito delle facoltà dell’amministratore quella di sottoscrivere l’informativa relativa alla possibilità di avvalersi della mediazione, non altrettanto chiara, prima della riforma, era la possibilità dell’amministratore di essere parte del procedimento di mediazione senza il preventivo assenso dell’assemblea condominiale.

Per quel che concerne la procedura di mediazione, pertanto, prima della riforma, qualsiasi scelta operata dall’amministratore, sebbene in buona fede e nell’esclusivo interesse del condominio, poteva – in astratto – essere oggetto di critica da parte del condominio.

A titolo esemplificativo, se vi era una comunicazione di un invito in mediazione per una richiesta di risarcimento danni da infiltrazioni, l’amministratore poteva:

1) non aderire
2) aderire ed andare da solo in mediazione
3) aderire ed andare accompagnato da un legale
4) aderire ed andare accompagnato da un legale e con l’ausilio di un perito (es. ingegnere).

Qualsiasi di queste scelte avrebbe comportato un’assunzione di responsabilità in quanto:
- da una parte chiedere l’ausilio di un consulente (legale e tecnico) impone un onere economico;
- dall’altra parte il non andare, o andare senza consulente, può produrre effetti negativi (processuali o sull’esito della mediazione).

E, prima della riforma, la dottrina si chiedeva se l’amministratore potesse decidere autonomamente (ossia senza il preventivo consenso assembleare) di intervenire ad un procedimento di mediazione. Il punto l’ha parzialmente chiarito dalla disposizione del codice civile secondo cui l’amministratore è legittimato a partecipare al procedimento di mediazione, previa delibera assembleare [3]. Ma tale disposizione pecca di ottimismo posto che, non di rado, le assemblee condominiali non deliberano (es. per mancanza di quorum).

La norma tenta di porre rimedio stabilendo che “se i termini di comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere la delibera […], il mediatore dispone, su istanza del condominio, idonea proroga della prima comparizione.”. Ma tale lodevole intento non risolve il problema, posto che anche una proroga non garantisce la certezza del deliberato.

E quindi, onde evitare di scegliere autonomamente, l’amministratore, in caso di ricevimento di un invito al procedimento in mediazione, può inviare una comunicazione all’ente di conciliazione per richiedere di posticipare il primo incontro in modo da avere il tempo di convocare l’assemblea; ma il problema potrebbe comunque non essere risolto, visto che l’assemblea potrebbe anche non deliberare (es. andare “deserta”).

Onde evitare l’inconveniente segnalato, sarebbe quindi opportuno che, ancor prima che giungano gli “inviti” per le procedure di mediazione, venga convocata dall’amministratore una assemblea di condominio, con uno specifico punto all’ordine del giorno, che metta l’assemblea nelle condizioni di scegliere come indirizzare l’operato dell’amministratore.

Uno schema base del capo da inserire in un punto all’ordine del giorno potrebbe essere il seguente: “Mediazione. Eventuali delibere in merito alla preventiva autorizzazione all’amministratore pro tempore del condominio a partecipare al procedimento di mediazione. Eventuale delibera di autorizzazione preventiva all’amministratore a conferire mandato ad un avvocato per l’assistenza e la consulenza in sede di mediazione ed anche eventualmente in sede giudiziaria in caso di mancata conciliazione. Eventuale delibera di autorizzazione preventiva all’amministratore per conferire l’incarico ad un perito/tecnico per l’assistenza e la consulenza in sede di mediazione ove la materia lo richieda.”

La delibera dovrebbe poi dare istruzioni anche in riferimento alle varie possibili ipotesi di argomenti oggetto della mediazione (nell’esempio del danno da infiltrazioni deve essere chiarito se l’amministratore deve aderire alla mediazione e se deve essere assistito da un legale e da un perito).

Tuttavia, qualora in sede di mediazione si prospetti una concreta ipotesi di conciliazione, l’amministratore dovrà comunque convocare nuovamente l’assemblea ponendo all’ordine del giorno i termini precisi della eventuale proposta; in questo caso, se l’assemblea deliberasse di accettare la proposta, tale proposta dovrà essere integralmente riportata nel verbale di conciliazione.

Anche in questo caso si ripropone, quindi, il problema della tempistica in funzione della necessità di dover convocare l’assemblea. Il legislatore ha quindi previsto che il mediatore fissa il termine per la proposta di conciliazione [4], tenendo conto della necessità per l’amministratore di munirsi della delibera assembleare.

È, quindi, chiaro che l’amministratore – come per la transazione – non può sottoscrivere alcun verbale conciliativo se non autorizzato da specifica delibera condominiale che recepisca preventivamente ed integralmente il contenuto della mediazione [5]. La norma prevede quindi espressamente il quorum deliberativo per l’accettazione della proposta di mediazione: è necessario un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio [6].

Per la competenza territoriale, il legislatore, nella riforma, ha previsto che la domanda di mediazione deve essere presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale in cui il condominio è situato.

Il legislatore ha tendenzialmente ampliato la mediazione a tutto quanto concerne il condominio [7]. Oggetto di mediazione sono sicuramente le impugnative di deliberazioni assembleari condominiali ed anche le azioni tese alla formazione o alla revisione delle tabelle millesimali. Resta chiaramente sospeso il termine (di 30 giorni) per l’impugnazione della delibera stessa per il periodo necessario al compimento del tentativo di conciliazione (quattro mesi).

Il problema si pone se il condomino impugnante vuole anche ottenere la sospensione dell’esecutività della delibera, poiché né il mediatore né l’organismo di mediazione hanno tale potere. Quindi, in tal caso, potrebbe essere utile intraprendere contemporaneamente sia la procedura di mediazione che l’azione di impugnazione della delibera (con richiesta di sospensione dello stesso).

Non sono oggetto di mediazione obbligatoria i procedimenti per il mancato pagamento delle spese condominiali [8]. Sono pure esclusi dal procedimento di mediazione obbligatoria i giudizi cautelari, le vertenze possessorie, i procedimenti per convalida di licenza o sfratto (di locali condominiali) fino al mutamento del rito, i procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi comunque a esecuzione forzata, le costituzioni di parte civile nel processo penale.

Una problematica a parte riguarda i procedimenti in cui sarebbero parti sia un condomino che il condominio per le questioni attinenti ai conflitti di interessi e ai quorum assembleari [9].

Per la casistica assicurativa in materia di condominio si deve distinguere tra:
- quella relativa alla richiesta di indennizzi sulla base della polizza globale fabbricati, che è comunque materia di mediazione obbligatoria perché la vertenza si basa su un contratto assicurativo;
- quella in cui il condominio è parte invitata alla mediazione ma è opportuno che richieda che sia invitata alla mediazione anche la compagnia assicurativa per essere eventualmente sollevato da ogni responsabilità (proprio per la polizza globale fabbricati).

Per le mediazioni concernenti la rinunzia ai diritti reali su parti comuni (a favore di un condomino o di un terzo) e/o comunque atti di alienazione di parti comuni o di costituzione su di esse di diritti reali o per le locazioni ultranovennali, è richiesto il consenso di tutti i condomini. E ciò perché, in tali atti, ha rilevanza il diritto dei condomini come singoli e non come partecipanti al condominio [10]. Tali atti non sono di specifica competenza delle assemblee condominiali (indipendentemente dalle maggioranze), ma devono essere posti in essere dai singoli condomini nelle forme e nei modi di legge.

Chiaramente, in cause che coinvolgono i singoli condomini contro il condominio, dovrebbero essere verificati i quorum per i possibili conflitti di interessi [11].

La mediazione tramite amministratore di condominio è fortemente “depotenziata” rispetto a quella tradizionale, posto che la partecipazione dell’amministratore alla conciliazione presenta, come necessario presupposto, l’assenza dei condomini. Il mediatore ha, infatti, tra le varie funzioni, quella di chiarire alle parti quali possano essere le eventuali possibili soluzioni e ciò anche indipendentemente dall’eventuale esito processuale o dalle ragioni giuridiche delle parti. Ma i soggetti “interessati” ossia i condomini non partecipano direttamente alla mediazione: partecipano solo tramite l’amministratore.

Una ipotesi particolare e di difficile soluzione è quella relativa alle possibili vertenze tra l’amministratore ancora in carica ed il condominio, posto che l’amministratore è l’unico rappresentante legale del condominio. In questo caso l’assemblea dovrebbe assolutamente delegare un terzo soggetto a rappresentare il condominio in fase di mediazione per ovviare al conflitto di interessi.

In pratica, anche in questo aspetto del condominio, come sempre, le future pronunzie della giurisprudenza colmeranno i vuoti legislativi, quasi a voler riaffermare che effettivamente la materia condominiale è regolata da una sorta di non meglio precisato “common low”.

Articolo tratto (con il consenso dell’interessato) dal libro “Come difendersi nel contenzioso condominiale dopo la riforma” scritto dall’Avvocato e Mediatore Ghigo Giuseppe Ciaccia e pubblicato da Maggioli Editore nel gennaio 2013 e da www.laleggepertutti.it


[1] Dopo il parere della Commissione “Affari Costituzionali” del 13 novembre 2012, relativo all’art. 25 del testo del DDL che – inserendo l’art. 71 quater disp. att. c.c. nel codice civile – provvede ad integrare le norme sulla mediazione in modo da renderle applicabili al condominio.

[2] All’uopo non soccorreva nemmeno la norma “punitiva” in materia di mediazione (art. articolo 8, comma 5 decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28) che, dispone che “dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio, ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile”.

A ciò si aggiungeva che la giurisprudenza di merito si stava orientando nel senso di una interpretazione rigorosa della normativa sulla mediazione (cfr. Tribunale Termini Imerese, sez. civile, ordinanza 09.05.2012, che ha statuito che “rilevato che la difesa dei convenuti ha giustificato la mancata partecipazione al tentativo obbligatorio di mediazione affermandone la inutilità in ragione del fatto che tale tentativo era stato espletato dopo la proposizione del giudizio ed affermando l’impossibilità di una rinuncia anche parziale alle contrapposte ragioni delle parti “anche in ragione della acclarata ed atavica litigiosità tra le suddette” (cf. fax dell’11/04/2012 inviato all’organismo di mediazione, prodotto in giudizio dalla difesa della parte convenuta);” e che “ ritenuto che le giustificazioni addotte non possono in alcun modo ritenersi valide, in considerazione del fatto che l’espletamento del tentativo obbligatorio di mediazione anche successivamente alla proposizione della controversia è espressamente contemplato dall’art. 5 del decreto legislativo n. 28/2010, ed in considerazione altresì del fatto che la sussistenza di una situazione di litigiosità tra le parti non può di per se sola giustificare il rifiuto di partecipare al procedimento di mediazione, giacché tale procedimento è precipuamente volto ad attenuare la litigiosità, tentando una composizione della lite basata su categorie concettuali del tutto differenti rispetto a quelle invocate in giudizio e che prescindono dalla attribuzione di torti e di ragioni, mirando al perseguimento di un armonico contemperamento dei contrapposti interessi delle parti “ … “P.Q.M. visto l’articolo 8, comma 5, del decreto legislativo n. 28/2010 condanna i convenuti al versamento in favore dell’Erario di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente giudizio in virtù della ingiustificata mancata partecipazione al procedimento obbligatorio di mediazione”.).

[3] In base all’art. 71 quarter disp. att. cod. civ.

[4] Di cui all’art. 11 d.lgs. n. 28 del 4.03.2010.

[5] Sul punto deve comunque essere precisato che, secondo altro orientamento (preferibile anche se minoritario), posto che l’accordo non è relativo solo al caso oggetto di mediazione, ma – sebbene indirettamente e/o di riflesso – produce effetti anche sull’eventuale futura lite tra le parti, è comunque necessario valutare gli aspetti processuali. In altre parole, la transazione scaturente da un accordo transattivo trasfuso nel verbale di conciliazione riguarderà o una rinunzia ad un giudizio già instaurato (cfr. artt. 306 e 209 c.p.c.) o una rinunzia all’azione. Ma tale scelta abdicativa produce effetti sui diritti personali e particolari di ogni singolo condomino, posto che – per giurisprudenza pacifica – il singolo condomino può sempre intervenire, in ogni stato e grado, nei giudizi che vedano parte il condominio, anche se il condominio è già rappresentato da legale a cui ha conferito mandato l’amministratore. In tale prospettiva l’accordo transattivo trasfuso nel verbale di conciliazione nella mediazione impedirebbe al singolo condomino di intervenire nel giudizio o di impugnare l’esito del giudizio stesso. Ma può essere consentito all’assemblea di limitare i diritti processuali del singolo condomino? Tale soluzione comprimerebbe non solo le facoltà processuali del singolo condomino, ma anche i diritti alla difesa ed al contraddittorio costituzionalmente garantiti (art. 3, 24 e 111 della Costituzione). Problema ulteriore si porrebbe nel caso in cui la proposta fosse dall’assemblea deliberata, ma con quorum insufficienti. In caso di mancata impugnazione, l’amministratore dovrebbe comunque procedere a sottoscrivere il verbale di conciliazione. Più problematica sarebbe la posizione dell’amministratore in caso di impugnativa posto che, fino all’eventuale sospensione e/o annullamento, l’amministratore sarebbe comunque tenuto ad eseguire il deliberato, ma le conseguenza giuridiche – a lungo termine posti i tempi della giustizia – dell’eventuale annullamento del deliberato sarebbero difficilmente riproducibili in un verbale di conciliazione; il tutto con la prevedibile conseguenza che l’altra parte del procedimento sarebbe quindi poco motivata a concludere positivamente la mediazione.

[6] In base all’art. 1136 cod. civ., c. II.

[7] “Per controversie in materia di condominio, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l’attuazione del codice” (art. 71 quater disp. att. cod. civ.).

[8] Art. 1104 cod. civ.

[9] Soggetti alla cosiddetta prova di resistenza.

[10] Infatti in tali casi è improprio anche parlare di delibera totalitaria o all’unanimità

Ostacoli sulla strada: non sempre il Comune risarcisce l’incidente

La responsabilità del Comune per le cose in sua custodia sussiste solo quando il danno alle persone, a seguito di incidente stradale o altra insidia, sia derivato direttamente da esse [1]. Se invece l’incidente è derivato dalla condotta negligente del danneggiato la responsabilità dell’ente pubblico è esclusa.

Lo ha ribadito una recente sentenza della Corte di Cassazione [2] decidendo il caso di un automobilista schiantatosi contro uno spartitraffico non segnalato dall’apposita colonna luminosa, ma solo dalla striscia bianca continua. Secondo i giudici, il Comune, chiamato in giudizio dagli eredi dell’automobilista, non era tenuto al risarcimento poiché l’incidente era stato causato non dalla mancanza di segnaletica luminosa, bensì dalla negligenza del conducente che, se avesse proceduto a velocità moderata e fosse stato più attento, avrebbe visto lo spartitraffico.

In pratica
L’automobilista che subisce un incidente può chiedere il risarcimento dei danni al Comune solo qualora il sinistro sia dipeso unicamente dall’ostacolo non segnalato presente sulla strada.


[1] Si richiede, cioè, la sussistenza del nesso causale tra il danno e le cose in custodia (per es. incidente causato da ostacoli non segnalati, da alberi non potati, da segnaletica poco visibile ecc.).

[2] Cass. sent. n. 20554/2012.
 
(articolo dell'Avv.to MARIA MONTELEONE pubblicato su www.laleggepertutti.it)

Assegno non pagato: anche se non protestato legittima l’esecuzione

L’assegno bancario è un titolo esecutivo e tale resta, per sei mesi dalla data della sua emissione. Ciò vale – ricorda il Tribunale di Catania [1] – anche se esso non è stato protestato. La legge infatti riconosce all’assegno tale efficacia, sia con riferimento al capitale in esso indicato sia con riferimento agli accessori, a prescindere dalla attestazione del mancato pagamento effettuata dal notaio.

 Il protesto [2] serve solo per avvalersi dell’azione di regresso nei confronti dei precedenti obbligati, in caso di girata del titolo. In quest’ultimo caso, il protesto del notaio diventa necessario per agire in regresso nei confronti dei giranti [3].

In pratica
Il portatore di un assegno può sempre agire contro il traente e ottenere il pignoramento anche se l’assegno bancario insoluto non sia stato presentato tempestivamente in banca per il pagamento o non sia stato fatto il protesto o la constatazione equipollente.



[1] Trib. Catania, sent. del 2.01.2013.

[2] Il mancato pagamento dell’assegno all’atto di presentazione per l’incasso deve risultare dal protesto, ovvero da un atto pubblico (redatto da un notaio o un pubblico ufficiale o ufficiale giudiziario), nel quale si accerta in forma solenne l’avvenuta presentazione del titolo in tempo utile ed il conseguente rifiuto della Banca di pagare.

[3] Art. 45 R.d. 1736/1933.
 

Crif e Sic: tempi di permanenza della segnalazione nella banca dati

Si chiamano SIC (Sistemi di informazioni creditizie) e sono banche dati, gestite da società private come la famosa CRIF, in cui vengono segnalati i finanziamenti richiesti e concessi a soggetti privati (cittadini e imprese) e la regolarità nei rimborsi . Alle banche e gli altri intermediari – come le Società Finanziarie – che le consultano, servono per valutare – insieme ad altre informazioni – le richieste di finanziamento presentate dai privati.

Non tutti possono consultare i SIC, ma solo i soggetti che aderiscono al sistema. Al cittadino, invece, è consentito, in ogni momento, chiedere la verifica della propria posizione.

L’attività dei SIC è stata disciplinata dal “Codice di deontologia e buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamentie [1], Codice emanato in attuazione alle disposizioni previste dal codice della privacy [2].

Tempi di conservazione dei dati
I tempi di conservazione delle informazioni relative ai pagamenti e alle richieste di finanziamento nelle banche dati gestite da CRIF (e da altri gestori di SIC) sono stati definiti dal Garante della Privacy [1] e val la pena conoscerli nel dettaglio. Vi è infatti molta incertezza, tra la gente, sui tempi di permanenza in tali sistemi di informazioni creditizie e, comunemente, si ritiene che le segnalazioni siano “macchie nere” sul curriculum. Ci preoccuperemo, in seguito, di sfatare questa convinzione. Per ora, ricapitoliamo i tempi di conservazione dei dati nei SIC.


1. Richieste di finanziamento
6 mesi, qualora l’istruttoria lo richieda, o 1 mese in caso di rifiuto della richiesta o rinuncia della stessa.

2. Morosità fino a due rate o due mesi poi sanate
12 mesi dalla regolarizzazione, sempreché nei 12 mesi i pagamenti siano sempre regolari

3. Ritardi superiori sanati anche su transazione
24 mesi dalla regolarizzazione, sempreché nei 24 mesi i pagamenti siano sempre regolari

4. Eventi negativi (cioè morosità, gravi inadempimenti, sofferenze) non sanati
36 mesi dalla data di scadenza contrattuale del rapporto o dalla data in cui è risultato necessario l’ultimo aggiornamento (in caso di successivi accordi o di altri eventi rilevanti in relazione al rimborso).

5. Rapporti che si sono svolti positivamente ossia senza ritardi o altri eventi negativi
36 mesi dalla data di estinzione del finanziamento
 

venerdì 25 gennaio 2013

SPESE BANCARIE

Bankitalia fa sape­re in questi giorni che i costi dei conti correnti sono scesi. “Scende ancora, per il terzo anno di fila, la spesa media sostenuta per gestire un conto corrente: nel 2011 abbiamo speso 105,7 euro, quattro euro in meno rispetto ad un anno prima”. Vista così sembra proprio una buona notizia secondo l’indagine condotta da Bankitalia la quale aggiunge che “la contrazione della cifra sostenuta deriva dalla riduzione dei canoni e dalle minori spese per le singole operazioni, non dalla minore operatività dei clienti (come accaduto lo scorso anno)”. Noi di AECI non siamo dello stesso avviso dal momento che le notizie di cui siamo in possesso dicono l’esatto contrario e cioè che i conti correnti a fine anno saranno gravati di nuovi costi. Un esempio che avvalora le nostre tesi ci viene dato dai clienti di Veneto Banca che si sono visti recapitare una informativa dall’Istituto di Credito recitante “aumento delle spese forfettarie annue a 50 Euro a seconda sia utente privato con giacenza X, utente privato con giacenza Y, utente privato con giacenza Z o impresa”. La lettura corretta di questo comunicato è che il conto corrente costerà tanto quanto prima più altri 50 Euro. Un funzionario di Veneto Banca, da noi contattato per avere chiarimenti sull’informativa, ci ha risposto che l’applicazione di questa ulteriore spesa è più che lecita poiché lo prevede e lo permette il TUB. 

Noi di AECI riteniamo che questo nuovo aggravio unilaterale di spese sia ingiustificato e perciò vogliamo far sentire la nostra voce di netto dis­senso sulle argomentazioni sia di Veneto Banca in primis che dei vari altri Istituti di Credito che hanno adottato questo mal tollerato “modus ope­randi”. A fronte di quanto sopra esposto l’AECI invita tutti i correntisti sia di Veneto Banca e sia di altre Banche a far sentire la loro voce di di­saccordo e di dissenso e li consigliamo di rivol­gersi allo sportello della nostra associazione per avere la necessaria tutela.

La sentenza della Cassazione Penale n.46669 del 19 dicembre 2011 ha stabilito i seguenti principi:
1- le circolari della BANCA D’ITALIA non sono fonte di diritto primaria e non possono derogare le leggi. Esse non hanno valore ai fini dell’interpreta­zione della legge sull’usura bancaria.
2- la decorrenza del nuovo calcolo dei tassi soglia previsti dal decreto legge 70/2010 ha inizio dal mese di maggio 2010, e non può essere retroattiva.
Vuol dire che il nuovo calcolo del tasso soglia tri­mestrale determinato con la seguente formula:
tasso medio+25%+4 punti (che sostituisce il vecchio tasso medio+50%) si applica esclusivamente dal mese di maggio 2010 e non per gli anni pregressi.
3- anche i PRESIDENTI delle banche sono respon­sabili degli eventuali tassi usurari applicati alla clientela.
4- le banche devono comunque risarcire i danni nei confronti dei correntisti ai quali sono stati applicati tassi di usura, anche quando non è stato individuato il colpevole (reato soggettivo), in quanto il reato (cosiddetto “oggettivo”) esiste.

Per semplice assistenza o una vera e propria consulenza non esitate a contattarci al 347 74 21 260 oppure al nostro indirizzo mail feltre@euroconsumatori.eu

martedì 22 gennaio 2013

Contratti luce e telefono mai richiesti: come recedere

Il Codice del Consumo [1] vieta, per come è ovvio che sia, la fornitura di servizi non richiesti.
Qualora l’utente si veda recapitare una fattura per un contratto non richiesto, dovrà contestare per iscritto (si consiglia la raccomandata a.r.) la fattura al gestore, inviando il reclamo anche all’Antitrust (o, nel caso di contratti telefonici, all’Autorità garante per le comunicazioni).

Le offerte a distanza, anche via cavo con operatore, sono vietate [2] se non sono state preventivamente autorizzate dal consumatore. In questi casi, dunque, il cittadino non dovrà preoccuparsi delle eventuali richieste di pagamento che gli pervengano, se avrà effettuato la contestazione immediatamente.

Ma se anche, perché raggirato o distratto, dinanzi a una insistente proposta commerciale il consumatore si sia lasciato scappare il fatidico “si”, egli può sempre tornare sui propri passi.

Innanzitutto, l’azienda erogatrice del servizio deve comunque informarlo sulle condizioni contrattuali ed economiche dell’offerta, sulla qualità e natura del proponente e soprattutto sull’esistenza del diritto di recesso. Queste informazioni devono essere fornite al consumatore anche per iscritto e, soprattutto, prima che il servizio venga attivato. Tale adempimento invece non viene quasi mai rispettato e, per colpa della “fretta” dei gestori, l’informativa sulle condizioni contrattuali viene spesso ricevuta dall’utente diverso tempo dopo che il servizio è stato attivato. Anche questa prassi è illegittima e può essere contestata, con il recesso dal servizio medesimo.

Ricevuta la comunicazione scritta, il consumatore ha comunque sempre dieci giorni per ripensarci e annullare il contratto (cosiddetto diritto di recesso), inviando una raccomandata a.r. In tal caso egli non dovrà pagare alcuna fattura.

Se invece il consumatore non ha mai ricevuto le informazioni scritte da parte dell’azienda (ivi compresa l’informativa sul diritto di recesso), egli ha 90 giorni di tempo per ripensarci, che decorrono dalla data di attivazione del servizio.

[1] Art. 57, Cod. Cons.
[2] Art. 58, Cod. Cons.
 

lunedì 21 gennaio 2013

QUANDO LA TRUFFA HA IL SORRISO DI UNA IENA

Una storia tutta italiana una storia che passando attraverso il disagio cade nella truffa e nella beffa. Nonostante gli avvertimenti di A.E.C.I. e delle varie Associazioni Consumatori sul comportamento troppo disinvolto di Agenzie Debiti numerosissime persone indebitate si sono affidate a chi prometteva di "riuscire legalmente a posticipare, rateizzare, diminuire o annullare i debiti” consegnando loro , oltre al contante , cambiali ed assegni serviti poi solamente a scopi truffaldini.

Ora che una di queste Agenzie Debiti forse la più pubblicizzata è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Milano (scorso 14 novembre) ed il suo Amministratore è finito sotto inchiesta insieme a tutta l’organizzazione (call center compresi) per associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta e riciclaggio ci si rende conto della poca tutela che come al solito affligge i consumatori.

Come spesso accade passata l’onda emotiva la notizia non fa più notizia e tutto e tutti vengono lasciati in mezzo al guado. Così le persone vedono i loro debiti , a causa dei cattivi consigli delle Agenzie Debiti salire alle stelle, rischiando altresì , oltre alle varie esecuzioni , che nessuno restituisca loro i soldi ed i titoli versati alle stesse Agenzie.

E’ vero che assegni e cambiali firmati per consulenze sulla propria situazione debitoria sono stati posti sotto sequestro da parte della Guardia di Finanza e non verranno più riscossi ma occorrerà , oltre alla solita denuncia , costituirsi parte civile in un procedimento penale che presto si aprirà nei confronti degli attori responsabili di questa truffa ed il tutto pur sapendo che in Italia sia la certezza della pena che l’eventuale risarcimento sono sentenze scritte e mai o mal applicate.

Le nostri sedi hanno ricevuto decine di richieste d’aiuto di consumatori coinvolti loro malgrado in questa truffa aggiungendo così ai problemi economici precedenti quelli creati da queste presunte debt agency .

A tutti coloro che chiederanno tutela ed assistenza A.E.C.I. presterà , come sempre (Aiazzone docet), su tutto il territorio nazionale , l’assistenza necessaria anche attraverso le Consulte legali .

Per fortuna che c’è A.E.C.I.
Il presidente Nazionale
Leonardo peruffo

FURTO DI BANCOMAT E CARTA DI CREDITO E LA BANCA NON VUOLE RESTITUIRE I SOLDI? RIVOLGITI ALLA NOSTRA ASSOCIAZIONE DI CONSUMATORI

Essere vittime di furto di portafogli e porta documenti è sempre una cosa spiacevole. A volte può esserlo in forma maggiore se, assieme a documenti e soldi, ci vengono sottratte anche carte di credito e bancomat. 

Oggi poi il furto (virtuale) può avvenire anche on line e l’effetto è sempre reale: sottrazione di importi economici dai nostri conto correnti bancari.

A.E.C.I. è già intervenuta elencando i consigli utili proprio in caso di furto ma, i nostri sportelli, ricevono sempre più segnalazioni di negazione della restituzione degli importi da parte degli istituti di credito.

La nostra associazione di consumatori, attraverso i propri esperti, ha approfondito questo argomento e, attraverso la propria azione, è riuscita a far restituire il 100% degli importi a molte vittime di furti.

L’invito, nel caso le risposte siano state negative, è quello di contattare le nostre sedi che sapranno agire per ottenere il mal tolto.

A.E.C.I. è a disposizione con il propri sportelli sparsi nel territorio nazionale. 

 La nostra sede è disposizione a Feltre (Belluno) in via Peschiera n. 21 - tel .0439 300030  fax 0439 300030 mail: feltre@euroconsumatori.eu

Interessi di mora: come si calcolano dopo la riforma

Il tasso di interessi moratori si applica nel caso di ritardo nei pagamenti nell’ambito delle transazioni commerciali tra imprese, professionisti e pubbliche amministrazioni. Esso si applica sommando il tasso di riferimento (stabilito dal Ministero dell’Economia) alla cosiddetta maggiorazione (che è dell’8%) [1].

Sino al 31 dicembre, il tasso di riferimento è stato dell’1%, ragion per cui gli interessi moratori erano pari al 9% (1% + 8%).

Ieri invece il Ministero dell’Economica [2] ha ridotto il tasso di riferimento di un quarto di punto percentuale, portando allo 0,75%. In virtù di ciò, il nuovo tasso degli interessi di mora scende all’8,75%.

Il nuovo saggio varrà per i prossimi sei mesi: ossia dal primo gennaio al 30 giugno 2013. Dopo verrà nuovamente aggiornato dal Ministero.

Per via delle recenti modifiche legislative [1], bisogna distinguere tra:
- interessi moratori: sono liberamente calcolati dalle parti;
- interessi legali di mora: quelli che scattano automaticamente, a un tasso pari a quello di riferimento, maggiorato di otto punti percentuali, per come sopra spiegato.


In pratica
Sino al 30 giugno 2013, se in un pagamento scatta la mora legale bisogna corrispondere al proprio creditore un tasso di interesse pari all’8,75%.

[1] La disciplina di riferimento è la Dirett. 2012/7/Ue che ha trovato applicazione in Italia proprio dal primo gennaio 2013, con le modificazioni al D.lgs. 231/02.
[2] Con un comunicato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 14 del 17 gennaio 2013.
 

giovedì 17 gennaio 2013

Gratis l’ebook della Costituzione italiana

Procede l’informatizzazione dei testi legislativi: dopo la versione gratuita online della Gazzetta Ufficiale, è il turno della Costituzione che, da oggi, sarà disponibile in ebook a questo link.

Sarà stata la recente sensibilizzazione per il 150mo anniversario dell’unità o lo scorso intervento in televisione di Roberto Benigni che ne ha spiegato il testo in modo poetico ed epico, fatto sta che la nostra Costituzione è ritornata alla ribalta, quasi fosse un mausoleo da ristrutturare.

Il formato dell’ebook è di tipo aperto .ePub, particolarmente indicato per la consultazione degli atti in formato elettronico su dispositivi di tipo tablet e smartphone di ultima generazione.

Inoltre, all’indirizzo www.senato.it/ebook, il servizio “Scriba” consente di selezionare atti e documenti del Senato e scaricarli in un unico dossier in formato ebook o in pdf con la rassegna stampa del giorno.
 

Redditometro: la Cassazione ci ripensa sull’onere della prova

Di recente, la Cassazione [1] ha affermato la natura di presunzione semplice del redditometro. La Corte è quindi prestato maggiore garanzia al contribuente: ciò infatti significa che gli uffici dovranno fornire idonei riscontri agli strumenti di carattere statistico quando il maggior reddito è stato scovato grazie a tali strumenti stessi.

Finora, va detto, gran parte della giurisprudenza di merito e alcune pronunce della Cassazione avevano ritenuto indiscutibile il risultato derivante dall’applicazione dei coefficienti redditometrici, addossando interamente sul contribuente l’onere di provare il contrario. Cosa questa difficile se non impossibile in quanto, non potendo sindacare gli indici, la difesa del contribuente risulta di fatto menomata.

Per il futuro, dunque, qualcosa forse cambierà. Se l’ufficio continuerà a ritenere indiscutibile il valore risultante dai calcoli, i contenziosi non mancheranno; se, invece, mostrerà più elasticità nell’uso degli strumenti statistici il nuovo redditometro potrà essere utile per contrastare l’evasione e per selezionare le posizioni a rischio meritevoli di approfondimenti.

Servizio offerto da METAPING
Articolo di A.I. – II Sole 24 Ore del 17.01.13 – pag. 7

[1] Cass. sent. n. 23554/2012.

Nulli gli atti di Equitalia e Ag. Entrate: firmati da falsi dirigenti

Il terremoto è stato sollevato dalla dottoressa Maria Rosaria Randaccio ex Intendente di Finanza a Cagliari (poi direttrice della Commissione Tributaria, in ultimo in forza al Tesoro e all’assessorato regionale al Turismo), la quale avverte: le cartelle di Equitalia e gli avvisi delle Agenzie delle Entrate sono tutti nulli. Ciò deriva da una importante sentenza del TAR Lazio [1]. Il Tribunale amministrativo ha stabilito che, all’interno delle Agenzie delle Entrate, gran parte del personale che firma gli accertamenti non ha i requisiti di “dirigente”. La conseguenza è che tali atti sono nulli e, con essi, anche le successive cartelle Equitalia.

La Randaccio ha da poco presentato un esposto alla Procura Generale della Corte dei Conti e alla Avvocatura Generale e invita tutti i cittadini a ricorrere contro questo vizio di nullità. Così abbiamo deciso di intervistarla.

LaLeggePerTutti: Dottoressa Randaccio, qual è l’origine del problema che renderebbe nulle buona parte delle cartelle esattoriali?Maria Rosaria Randaccio: Il Tar del Lazio [1] ha dichiarato illeciti e illegittimi gli ottocento incarichi dirigenziali conferiti a semplici impiegati, invece che ai veri Dirigenti delle Agenzie delle Entrate sparse nelle varie sedi d’Italia.

Infatti, su un organico di 1.200 dirigenti del Ministero, solo 400 posti risultano coperti da dirigenti abilitati, ossia assunti tramite regolare concorso, mentre gli altri 800 incarichi sono stati conferiti indebitamente a dei “nominati”.
La questione è stata affrontata anche dalla stessa Corte dei Conti [2] e dal Consiglio di Stato [3]. Quest’ultimo sostiene, tra le righe, che Equitalia S.p.a. agendo in qualità di agente della riscossione, in quanto concessionario di un pubblico servizio [4], deve utilizzare, per tutte le incombenze, personale che opera in regime di diritto pubblico, ossia Dirigenti della Pubblica Amministrazione.
Il fatto che tutto il personale utilizzato per le incombenze della riscossione debba essere incardinato nella Pubblica amministrazione lo prevede la legge [5]. La stessa legge prevede che anche la sottoscrizione dei ruoli da trasmettere a Equitalia per la riscossione deve essere svolta esclusivamente dai Dirigenti, dal momento che solo ai Dirigenti compete l’adozione degli atti e dei provvedimenti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno [7].
Invece, come ci ha svelato il Tar del Lazio con la sentenza appena citata, la trasmissione dei ruoli ad Equitalia per la loro riscossione – prerogativa un tempo affidata alla competenza esclusiva degli Intendenti di Finanza – in questi ultimi dieci anni è stata illegittimamente effettuata da semplici impiegati, spesso privi del diploma di laurea.

LLPT: Qual è dunque la conseguenza?
MRR: La conseguenza è che tutte le cartelle esattoriali notificate dagli agenti della riscossione e da Equitalia S.p.a. in questi ultimi dieci anni potrebbero venire annullate perché illegittime per via della mancata sottoscrizione dei “Ruoli” (trasmessi ad Equitalia ) da parte di un dirigente abilitato, ossia assunto tramite pubblico concorso nei Ruoli Dirigenziali della P.A.

LLPT: Ci spieghi come è nata questa “confusione” suoi ruoli dei dirigenti.
MMR: Stiamo parlando di una questione che riguarda non solo il Ministero delle Finanze in generale, ma anche altri ministeri. Nel 1992 i dirigenti della Intendenza di finanza e di tutti gli uffici finanziari sono stati retrocessi in carriera ed inquadrati nella nona qualifica funzionale, ossia quella dei quadri [8]. In questo modo, parte dell’organico è rimasto scoperto. Sono stati inizialmente chiamati, a coprire il vuoto, quelli che erano dentro il Ministero delle finanze, ma collocati nei ruoli centrali, inquadrandoli come dirigenti, mentre gli altri colleghi sono rimasti nella nona qualifica funzionale.
Poi, alla fine degli anni ’90, ci si è reso conto che questi posti dovevano essere coperti da un certo numero di persone. Così il Ministero ha bandito dei concorsi per coloro che avevano iniziato a ribellarsi all’inquadramento della nona qualifica. Naturalmente questi concorsi non hanno coperto l’organico ma solo in minima parte. Così, i restanti posti sono stati coperti con incarichi fiduciari, conferiti in barba alla legge secondo logiche clientelari. A coprire carichi dirigenziali sono stati chiamati semplici impiegati, che non avevano neanche la qualifica di funzionari e neanche quelli che sono stati retrocessi alla nona qualifica funzionale (i quadri). Così, a comandare sui dirigenti vengono chiamati dei semplici impiegati.




[1] Tar Lazio, sent. n. 6884 del 1.08.2011.
[2] Corte dei Conti, sezione di controllo sugli enti, con determinazione n.31\2008, nell’adunanza del 28 marzo 2008 e n. 43\2010 nell’adunanza dell’11 maggio 2010.
[3] Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 3812/2012 del 27.06.2012.
[4] Ai sensi dell’art. 45 del dlgs 112\99.
[5] Art. 1 co. 2 del dlgs 1651.
[6] All’art. 42 del dpr 600\73.
[7] Come sancito dall’art. 16 co. 1 e dall’art. 4 co. 2 del dlgs 1651.
[8] Istituita con il DPR 44 del 1990.
 
(fonte: www.laleggepertutti.it del 17gennaio2013)

CONTO CORRENTE: PER RECUPERARE INTERESSI ULTRALEGALI E COMMISSIONI DI MASSIMO SCOPERTO BISOGNAIL CORRENTISTA DEVE DIMOSTRARE IL PAGAMENTO

Il correntista, che voglia ottenere dalla banca la restituzione degli importi illegittimamente versati a titolo di commissioni di massimo scoperto e di interessi non dovuti, nell’ambito di un contratto di apertura di credito, deve dimostrare al giudice di aver effettivamente pagato tali somme.

Lo ha appena affermato la Cassazione, in una sentenza pubblicata ieri [1]. La Corte ha bocciato il ricorso di un correntista che, dopo aver lamentato l’applicazione in proprio danno di interessi e commissioni fuorilegge, ne chiedeva la restituzione all’Istituto di credito.

Per ottenere indietro quanto illegittimamente versato alla banca – sostiene la Suprema Corte – non è sufficiente dimostrare l’esistenza, in contratto, di una clausola che dispone tassi ultralegali e commissioni di massimo scoperto. Non è neanche sufficiente dimostrare la semplice annotazione in conto corrente di una posta passiva. In entrambi i casi, infatti, il correntista può – al massimo – far dichiarare nullo il titolo vantato dall’Istituto su cui è fondato l’addebito non dovuto, ma non puòchiedere la restituzione di un pagamento che, materialmente, non ha mai avuto luogo.

Al contrario, per poter ottenere indietro le somme è necessario:
- che si sia chiuso il rapporto di apertura di credito in conto corrente
- che la banca abbia preteso dal correntista la restituzione del saldo finale, comprendente gli interessi non dovuti
- e che il correntista abbia materialmente versato tale somma.

Mentre pende il rapporto di apertura di credito, infatti, non avviene alcun pagamento: operano solo partite contabili virtuali e il correntista, al massimo, si limita a sfruttare (eventualmente sconfidando) il credito concessogli dalla banca. Invece, con la chiusura dell’affidamento, il cliente viene obbligato a versare materialmente gli importi e quindi a pagare somme non dovute; ed è solo allora che egli può richiedere la restituzione dei tassi ultralegali e delle commissioni di massimo scoperto non pattuiti in modo valido.

In pratica
Per riavere quanto non dovuto, il correntista deve dimostrare di aver effettivamente pagato. Non basta l’illegittimità della clausola che dispone tassi ultralegali e commissone di massimo scoperto non pattuiti in modo valido. Pertanto, per la restituzione di tali somme, è necessario che, alla chiusura del conto, la banca abbia preteso la restituzione del saldo finale nel cui computo risultano compresi gli interessi non dovuti.

[1] Cass. sent. n. n. 798/12 del 15.01.2013.
 

mercoledì 16 gennaio 2013

Comunicazione dati del conducente: non obbligatoria dopo 90 giorni dalla multa

guida73.jpgCome a tutti noto, quando viene notificata una contravvenzione al proprietario del mezzo, questi ha l’obbligo, entro 60 giorni, di comunicare alla autorità pubblica il nome dell’effettivo conducente del mezzo al momento dell’illecito: ciò affinché si possa procedere alla decurtazione dei punti dalla patente [1] in capo a chi ha concretamente commesso l’infrazione.
La violazione di tale obbligo, peraltro, è sanzionata con multe abbastanza salate (da 369 euro a 1.075 euro).

Dall’altro lato, però, l’amministrazione ha l’obbligo [2] di notificare la multa – quando non sia stata possibile la contestazione immediata – entro 90 giorni dall’illecito. La comunicazione tardiva rende nulla la sanzione.

Con una sentenza dello scorso anno, la Cassazione [3] ha chiarito che, nell’ipotesi in cui l’amministrazione abbia omesso di notificare la multa nel suddetto termine di 90 giorni, il proprietario del mezzo non è più vincolato a inviare la comunicazione circa l’effettivo conducente: e ciò vale anche se il proprietario stesso non ha inteso proporre opposizione al primo verbale (egli però resta obbligato a impugnare il secondo verbale: quello con la contestazione della mancata comunicazione degli estremi del conducente).

La ragione di tale sentenza – spiega la Suprema Corte – risiede nel fatto che lo sforzo mnemonico di ricordare chi fosse alla guida del mezzo al momento dell’illecito può essere imposto al titolare del mezzo medesimo solo entro ragionevoli tempi (appunto, 90 giorni). Pertanto, l’obbligo del proprietario della comunicazione entro 60 giorni dalla notifica del verbale di contestazione può scattare solo se c’è stata la notifica tempestiva di tale verbale.


In pratica
L’automobilista deve stare molto attento. Infatti la comunicazione dei dati del conducente deve essere effettuata entro 60 giorni. Dopo tale termine scatta la sanzione. Al contrario, la multa può essere inviata entro 90 giorni: termine più lungo di 30 giorni rispetto al precedente obbligo.
Pertanto, attendere i 60 giorni nell’effettuare la comunicazione e poi desistere solo perché non si è ricevuta la contravvenzione può esporre a un grave rischio: quello di vedersi notificare la multa nei residui 30 giorni in cui l’amministrazione ha tale possibilità.

La conseguenza è che la sentenza della Cassazione è pressoché priva di utilità pratica. Sarebbe infatti irragionevole non inviare la comunicazione dei dati del conducente nei 60 giorni solo perché, in tale termine, non si è ancora ricevuta la multa e così rischiare di pagare fino a mille euro qualora, nei successivi 30 giorni, invece si riceva detta notifica.


[1] Art. 126 bis codice della str.
[2] Art. 201, comma 1, codice della str.
[3] Cass. sent. n. 11185 del 20.05.2011.
 
(articolo del 14 gennaio 2013 di www.laleggepertutti.it)

Sì alla videosorveglianza in condominio

Di recente la Cassazione [1] ha dato ragione a un condomino che, in seguito a continui furti, aveva installato nel parcheggio condominiale un impianto di videosorveglianza, chiedendo successivamente agli altri condomini il rimborso delle spese.

Secondo la Corte, l’installazione di una telecamera di controllo non mette a rischio la privacy dei condomini quando sia puntata verso luoghi comuni (come ingresso e parcheggio), destinati all’uso di un numero indeterminato di persone. In tali casi, pertanto, non è applicabile la normativa a tutela della riservatezza [2].

Qualora il condomino abbia sostenuto da solo i costi per l’acquisto e l’installazione dell’impianto, essi gli devono essere rimborsati dal condomino. La spesa in oggetto, infatti, data la situazione di emergenza determinata dai continui furti, è considerata urgente: quindi la preventiva autorizzazione dell’assemblea non è necessaria [3].

La recente riforma del condominio contempla un articolo dedicato proprio alla videosorveglianza nei condomini [4]. In forza di ciò, da oggi, le delibere assembleari concernenti l’installazione sulle parti comuni dell’edificio di impianti di videosorveglianza devono essere approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.


In pratica
Il singolo condomino che installa una telecamera di videosorveglianza nel cortile o parcheggio condominiale non viola la privacy degli altri proprietari: può quindi farlo autonomamente e, in caso di urgenza, deve essere poi rimborsato dal condominio.



[1] Cass., sent. n. 71 del 3.01.2013.
[2] Sancita dall’art. 615 bis c.p.
[3] Ai sensi dell’art. 1134 c.c.
[4] Art. 1122-ter cod. civ


 (articolo dell'Avv.to Nicola Giofré pubblicato su www.laleggepertutti.it in data 16.01.2013)

Tares rinviata: Commissione Ambiente approva l’emendamento

Doveva entrare in vigore lo scorso primo gennaio, ma già è stato approvato, stamattina il primo rinvio: l’avvio della Tares (la nuova tassa sui rifiuti) slitta dunque al primo luglio 2013.

La Tares, secondo il relatore, costituisce infatti una ulteriore imposta sulla casa. È pertanto necessario – sostiene il sottosegretario all’Ambiente, Tullio Fanelli – che della vicenda si occupi il prossimo Governo.

È inoltre sotto accusa il meccanismo complesso dell’imposta: esso prevede un sistema di affidamento ai Comuni non ancora ben rodato e su cui gli stessi enti locali hanno espresso perplessità.

Le tasse più odiate
Secondo un sondaggio effettuato da SoloAffitti, la Tares è la tassa più odiata dagli italiani dopo l’IMU e il Canone Rai.
 
(ARTICOLO DI REDAZIONE DI www.laleggepertutti.it)

ANCHE CON EQUITALIA ACCESSO AGLI ATTI

E' possibile formalizzare istanza di accesso agli atti ai sensi della legge 241/1990 e smi anche con EQUITALIA che è ritenuta gestore di servizio pubblico.
Lo stabilisce la sentenza del TAR di Catanzaro con la sentenza 2597 dell'ottobre 2010.
 
Quindi forza cittadini: se avete smarrito qualche documento non vi preoccupare.... fatevi avanti ed esercitate questo diritto in forma scritta depositando adeguata istanza alla società di Riscossione la quale, ai sensi e per gli effetti della stessa legge menzionata, ha 30 giorni di tempo per evadere la Vostra richiesta.
 
 
 

venerdì 11 gennaio 2013

IMU: detrazioni, regole per anziani, divorziati e italiani all’estero

Con la nuova legge [1] sulI’IMU si è creata, tra i contribuenti tenuti al versamento, un po’ di confusione, specie per quanto riguarda il regime delle detrazioni e le regole per anziani e divorziati. Cerchiamo di rispondere alle principali domande che ci vengono poste.

Se un anziano è residente in una casa di cura, deve pagare l’IMU sulla casa di proprietà come se fosse seconda casa, anche se quest’ultima è disabitata?
No! La nuova legge (senza modificare il previgente sistema previsto con l’IMU) stabilisce che i Comuni possono considerare adibita ad abitazione principale l’unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto da anziani o disabili che abbiano la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente. Il che significa che è facoltà del Comune applicare sulla abitazione di proprietà del contribuente ricoverato definitivamente in case di cura, la percentuale pari a quella dell’abitazione principale, non considerandola quindi come “seconda casa”.

Condizione necessaria però per usufruire della aliquota ridotta è che la proprietà - quindi la casa - non risulti data in locazione.

Come faccio a sapere se la casa di proprietà del mio genitore ricoverato va considerata abitazione principale e se quindi potrà usufruire della riduzione dell’aliquota?
Per ciò che riguarda le agevolazioni previste per gli anziani e i disabili che siano residenti in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, è bene sottolineare che nulla è cambiato rispetto all’ICI, e che rimangono valide le vecchie regole. Quindi continua ad essere attribuita al Comune la facoltà di considerare abitazione principale l’immobile posseduto dagli anziani a titolo di proprietà seppur essi siano residenti in istituti di ricovero. Nel caso in cui non si conoscano le regole applicate dal Comune, si potrebbe fare un istanza al Comune, ufficio IMU, per avere dei chiarimenti in merito

Mio padre ha la residenza in istituto di ricovero, ma ha già pagato l’IMU sulla proprietà considerandola seconda casa. Può chiedere un rimborso?
Si! La domanda di rimborso va fatta direttamente al Comune (confronta la sezione “Formule” di questo portale). Si ha tempo fino a cinque anni per chiedere il rimborso dell’imposta versata ma non dovuta. Il Comune dovrà provvedere al rimborso entro 180 giorni dalla data di presentazione dell’istanza [2].

Quali sono le regole per i cittadini italiani che vivono all’estero?
Sono valide le stesse regole dei contribuenti residenti in istituti di ricovero, purché sussistano le medesime condizioni, ciò che l’abitazione non risulti locata.

In tali casi, si può usufruire anche delle detrazioni per la casa principale e le maggiorazioni sulle detrazioni per i figli a carico?
Si! Si ricorda che la detrazione base è pari a 200,00€ (che può essere aumentata a discrezione di ogni comune) e a questa detrazione può essere aggiunta una maggiorazione (ovvero un’ulteriore detrazione) di 50,00€ per ogni figlio convivente che abbia meno di 26 anni. La maggiorazione di 50 euro prevista per i figli di età non superiore a 26 anni, si applica solo nel caso in cui gli stessi dimorino abitualmente e risiedano nell’immobile oggetto della disposizione di favore, indipendentemente se sia a carico o meno del genitore. Quindi dall’imposta IMU lorda andranno sottratte sia la detrazioni che la maggiorazioni (cioè un’ulteriore detrazione) spettante per ogni figlio residente (anche se non è a carico del genitore)ottenendo, alla fine del calcolo l’IMU netta da pagare.

Sono proprietario di un secondo immobile affittato a canone concordato; quale aliquota devo pagare?Anche in questo caso il Comune ha la facoltà di far pagare al proprietario dell’immobile locato a canone concordato l’aliquota ridotta ed equiparata alla prima casa.

Sono proprietario di un fabbricato colpito dal sisma e non ancora agibile nell’Aquila; devono pagare l’IMU?
No! La nuova legge [3], modificando la vecchia disciplina [5], ha stabilito che i fabbricati colpiti dal sisma del 6 aprile 2009 in Aquila ed altri Comuni abruzzesi, che siano stati distrutti o che siano oggetto di ordinanze sindacali di sgombero, in quanto inagibili totalmente o parzialmente, non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e dell'imposta sul reddito delle società (IRES), fino alla definitiva ricostruzione e agibilità dei fabbricati medesimi. Questi fabbricati sono, altresì, esenti dall'applicazione dell'imposta municipale (IMU) fino alla definitiva ricostruzione e agibilità degli stessi.

Io sono divorziato e vorrei capire se è cambiato qualcosa per ciò che riguarda i divorziati.
 L’IMU è un’imposta che deve essere pagata da chi possiede l’immobile a titolo di proprietà, uso, usufrutto e abitazione. Un diritto reale che sorge per legge è quello di abitazione. Seguendo il diritto reale di abitazione, soggetto passivo dell’IMU della casa coniugale che sarà tenuto a pagare, sarà il coniuge che, all’atto dello scioglimento del vincolo matrimoniale, risulterà assegnatario della casa coniugale (appartamento). Quindi la novità importante della nuova legge è che il diritto di abitazione nei confronti del coniuge assegnatario della stessa, ne riconosce la soggettività passiva in via esclusiva.
Se dal modello 730 del 2012 risultano dei crediti, possono andare in compensazione?
Si! Il contribuente può scegliere di utilizzare l’eventuale credito che risulti dal modello di dichiarazione 730/2012 per pagare l’IMU dovuta per l’anno 2012, mediante compensazione nel modello F-24. Per utilizzare in compensazione questo credito il contribuente dovrà comunque compilare e presentare alla banca o all’ufficio postale il modello di pagamento F24 anche se, per effetto della compensazione eseguita, il saldo finale è uguale a zero.
 

[1] D.L. n. 16 del 2012.
[2] Risoluzione n. 2/DF del Ministero dell’Economia e Delle Finanze del 13 dicembre 2012.
[3] Art. 4, comma 5-octies, del D. L. n. 16 del 2012.
[4] All’art. 6 del D. L. 28 aprile 2009, n. 39.
[5] Comma 12-quinquies dell’art. 4 del D. L. n. 16 del 2012.
[6] All’art. 13, comma 10, ultimo periodo, del D. L. n. 201 del 2011.
[7] Art. 4, comma 12-quinquies del D. L. n 16 del 2012.
 

Articolo a cura dell’avv. FLORIANA BALDINO del foro di Trani (BT) esperta in diritto civile e tributario Per contatti scrivere a: florianabaldino@gmail.com oppure telefonare a 3491996463