mercoledì 27 febbraio 2013

RIMBORSO POLIZZE DORMIENTI

Consumatori, utenti...! Annotate questo periodo: dal 13 febbraio al 15 aprile 2013
 
Solamente in tale periodo, pena l'improcedibilità del'istanza, è possibile presentare istanza per il RIMBORSO DELLE POLIZZE DORMIENTI.
 
Chi è beneficiario di un'assicurazione sulla vita già caduta in prescrizione da tempo può formalizzare la propria istanza per riavere, almeno in percentale, la somma che avrebbe dovuto richiedere a Suo tempo alla compagnia assicuratrice.
 
Si può formalizzare domanda in caso di polizze vita che soddisfano contemporaneamente le tre codizioni:
a) evento o scadenza della polizza che determinavano il diritto a riscuotere il capitale assicurato, intervenuto successivamente alla data del 01.01.2006
b) prescrizione del diritto intervenuta anteriormente al 29 ottobre 2008
c) rifiuto della prescrizione assicurativa, da parte dell'intermediario, per effetto della suddetta prescrizione e conseguente trasferimento del relativo importo al fondo "Polizze Dormienti"

Sono molti gli utenti coinvolti nel fenomeno delle polizze dormienti.

Lo staff della nostra associazione rimane a Vostra disposizione per consulenza ed assistenza.
Chiamateci per un appuntamento al 347 74 21 260 (oppure al 0439 300030), mandateci un fax al 0439 1998108 o una mail a feltre@euroconsumatori.eu

MUTUO SIMULATO O MUTUO DI SCOPO


La maggior parte delle volte in cui parliamo di que­st'argomento con i nostri tesserati ci sentiamo chiedere: ma di cosa stiamo parlando?
Siamo nella fattispecie in cui viene simulato un mutuo fondiario, utilizzando la provvista per fi­nalità diverse da quelle previste dal nostro ordi­namento; una situazione espressamente vietata dal nostro ordinamento eppure praticata abitual­mente da molti istituti bancari.


Cerchiamo di fare chiarezza con un esempio pra­tico in cui chiamiamo in causa il Sig. Mario Ros­si (nome di pura fantasia).

Mario Rossi, imprenditore, aveva fra fido in con­to corrente, anticipo fatture... oltre trecentomila euro garantiti solamente dalla firma dell'impren­ditore che disponeva di beni terzi non posti a ga­ranzia dello scoperto. Tutto andava a gonfie vele e la banca lo cercava per proporgli denaro.

Si trattava comunque di somme concesse a RE­VOCA ovvero affidamenti nati in un giorno cer­to e con un termine incerto.

Un giorno al Sig. Rossi arriva una raccomandata che gli intima in rientro degli affidamenti entro 5 giorni. Tale comportamento dell'istituto era lecito, previsto a chiare lettere (magari scritte in piccolino) su contratto firmato.

Situazione di panico? Nient'affatto perché è la stessa banca a proporti una papabile soluzione: sostituire i debiti chirografari (e quindi garantiti solamente da una firma) con un mutuo fondiario sulla SUA proprietà. Avete capito bene, sulla Sua proprietà privata e non sulle proprietà in capo alla ditta. Può sembrare una giusta soluzione ed invece la banca in questo frangente ha commesso un illecito.

Lottando al fianco dei nostri professionisti convenzionati con indubbia fatica, il Sig. Rossi può recuperare tutto, fino all'ultimo centesimo.

GIUDICE DI PACE DI TRENTO: RIMBORSO IVA SU TIA

Il concludersi dello scorso anno ha regalato ai consumatori un'altra sentenza nella quale il giudice, definendo la TIA come entrata di natura tributaria, ha riconosciuto il diritto dei contribuenti a vedersi rimborsare l'IVA pagata.
La sentenza, pronunciata dal Giudice di Pace di Trento e non unica nel Suo genere, continua a lasciare aperto uno spiraglio a tutti quei cittadini che, più per una questione di rivalsa di un diritto che non per la reale entità dell'importo maltolto, vorrebbero far sentire la loro voce.
La nostra Associazione, in concerto con la propria consulta giuridica, vuole dare voce a tutti quei cittadini che si sentono calpestati nella certezza di un proprio diritto.
La crisi economica del nostro Paese Italia sta richiedendo troppi sforzi agli utenti: il sistema della tassa sulla tassa per quel che concerne la TIA (che in molti comuni ha sostituito al vecchia TARSU) ha rappresentato un prelievo dal portafoglio degli italiani di una cifra che si aggira attorno ai 2 miliardi di euro.
Noi di A.E.C.I. FELTRE non pensiamo sia giusto accettare inermi tale sopruso.
Al contempo crediamo sensato, anche su sollecitazione di alcuni di voi consumatori, tentare una strada comune che consenta di far sentire la propria voce a delle condizioni che non siano proibitive per nessuno.
Ci è stato chiesto di organizzare un'azione di gruppo e noi ci siamo organizzati.
Se ritieni giusto unire le tue forze alle nostre e chiedere quanto già la Corte Costituzionale e la Cassazione ha riconosciuto come diritto di ogni utente puoi contattare la nostra associazione.
Ti daremo le informazioni e l'assistenza di cui hai bisogno

LIBRETTI E CONTI DORMIENTI


Tra libretti e conti dormienti è stato depositato a fondo un valore complessivo di euro 798.404.099,50. Sono oltre un milione, infatti, i fondi dormienti rilevati e comunicati da Banche e inter­mediari”.

Vediamo nello specifico di cosa parliamo.
Si tratta di Depositi, libretti postali e contratti fi­nanziari dimenticati nei cassetti per vari ragioni, non movimentati per un periodo uguale o supe­riore a dieci anni, di valore non inferiore a € 100 (si deve considerare l'ammontare depositato).
Queste cifre, di sicuro interesse, sono state oggetto di disciplina precipua.
Le banche e gli intermediari che si trovassero di fronte ad un
conto dormiente sono tenuti a comu­nicare all'ultimo indirizzo conosciuto dei titolari la possibilità di recuperare il denaro depositato con la previsione di un termine di 180 giorni per evitare l'estinzione.
Diverso il comportamento che deve tenere la ban­ca verso i libretti al portatore, in cui nella sostanza la banca non è tenuta a comunicare alcunché.
Ma che fine hanno fatto questi soldi? Sono finiti nel dimenticatoio? No sono stati, o dovrebbero essere stati, accanto­nati a fondo.
Ogni situazione va ponderata con l'opportuna ac­curatezza e con attenzione. È comunque possibile chiedere il recupero delle somme accantonate con tanta fatica dai nostri nonni o dai nostri parenti.

Lo Staff della nostra Associazione Consumatori è a Vostra disposizione per garantirvi la giusta con­sulenza nelle azioni di recupero nella nostra nuova sede di Feltre, in via Garibaldi.
Chiamateci al numero
347 74 21 260 (oppure al 0439300030) o scrivente una mail a feltre@euroconsumatori.eu.

martedì 26 febbraio 2013

Ristrutturazioni edilizie e agevolazioni fiscali

Chi sostiene spese per i lavori di ristrutturazione edilizia può usufruire della detrazione d’imposta Irpef pari al 36%.
Inoltre, per le prestazioni di servizi relative agli interventi di recupero edilizio, di manutenzione ordinaria e straordinaria, realizzati sugli immobili a prevalente destinazione abitativa privata, si applica l’aliquota IVA agevolata del 10%.
La novità che merita di essere segnalata, perché non tutti ne sono a conoscenza, è che per le spese di ristrutturazione sostenute dal 26 giugno 2012 [1] fino al 30 giugno 2013, spetta una detrazione Irpef del 50% su un limite massimo di spesa di 96.000 euro.
Infatti, il Decreto Sviluppo ha introdotto aliquote più alte ed un nuovo tetto massimo per le detrazioni sulle ristrutturazioni edilizie. Stante la validità temporale di un anno (a meno di proroghe o conversioni), la legge scadrà il 30 giugno 2013 e varranno, dopo tale data, i vecchi numeri e le aliquote meno elevate che già si conoscono.
Quindi, in sintesi, le nuove detrazioni fiscali devono riferirsi alle spese di ristrutturazione sostenute nel periodo di validità del decreto, cioè tra il 26 giugno 2012 ed il 30 giugno 2013; per le spese di ristrutturazioni sostenute prima o dopo la detrazione Irpef sarà del 36% per un tetto massimo di spesa di 48.000 euro.
La nuova legge ha disposto anche diverse detrazioni fiscali sulle spese di riqualificazione energetica, la cui maggior aliquota del 55% scadrà, come quello del 50% sui lavori di ristrutturazione, il 30 giugno 2013.
Si ricordi che per usufruire di tali agevolazioni fiscali (aliquote e del tetto massimo più elevati) vige il criterio di cassa, vale a dire occorre guardare non quando sono stati eseguiti i lavori, bensì quando sono stati effettuati i pagamenti per tali opere (nell’arco temporale sopra indicata della vigenza del Decreto Sviluppo). E si ricordi di pagare poi tutto entro la scadenza il 30 giugno 2013.
Per ogni approfondimento si rinvia al manuale dell’Agenzia delle entrate a questo indirizzo: Ristrutturazioni edlilize: le agevolazioni fiscali
[1] Data di entrata in vigore del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 (cosiddetto “Decreto Sviluppo”) pubblicato in Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2012, n. 147, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.
 
(www.laleggepertutti.it articolo di Bonomo Giovanni)

lunedì 25 febbraio 2013

Contributi per chi acquista auto da gennaio 2013 a dicembre 2015.

A partire dal 14 marzo 2013 verranno riconosciuti dei contributi a chi volesse acquistare auto verdi, elettriche, a metano o Gpl ma anche a chi le dovesse aver già comprate in quest’anno.
Il contributo sarà pari al 20% del prezzo di vendita. Il decreto è già stato pubblicato nella GU . Esso stabilisce che gli incentivi spettano a chi ha già acquistato auto ecologiche a far data dal 1º gennaio 2013 e sarà valido anche per chi acquisterà auto elettriche, auto a metano a auto a Gpl fino al 31 dicembre 2015.
Il contributo è pari a al 20% del prezzo di acquisto ma con dei limiti contributivi massimi, ovvero:
- fino a un importo massimo di 5.000 euro, per veicoli a basse emissioni complessive che producono emissioni di CO2 non superiori a 50 g/km;
- fino a un importo massimo di 4.000 euro, per veicoli a basse emissioni complessive che producono emissioni di CO2 non superiori a 95 g/km;
- fino a un importo massimo di 2.000 euro, per veicoli a basse emissioni complessive che producono emissioni di CO2 non superiori a 120 g/km.
Per il 2015 invece questi incentivi verranno ridotti al 15% del prezzo di acquisto e diminuiranno anche i massimali, ovvero:
- fino a un importo massimo di 3.500 euro, per veicoli a basse emissioni complessive che producono emissioni di CO2 non superiori a 50 g/km;
- fino a un importo massimo di 3.000 euro, per veicoli a basse emissioni complessive che producono emissioni di CO2 non superiori a 95 g/km;
-  fino a un importo massimo di 1.800 euro, per veicoli a basse emissioni complessive che producono emissioni di CO2 non superiori a 120 g/km.
1) Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico dell’ 11 Gennaio 2013
Articolo a cura dell’avv. FLORIANA BALDINO del foro di Trani (BT) esperta in diritto civile e tributario Per contatti scrivere a: florianabaldino@gmail.com oppure telefonare a 3491996463




Sentenza tribunale di Napoli. Il redditometro viola la privacy del contribuente

Buone notizie per i contribuenti. Il redditometro, introdotto nella nuova normativa (disposizione introdotta dall’art. 22 del decreto legge n. 78/2010, alla quale il decreto del 24 dicembre 2012 dà piena attuazione) ed entrata in vigore a gennaio 2013, lederebbe secondo il tribunale di Napoli, la privacy dei cittadini.
Cosa significa questo?
Ebbene, il tribunale di Napoli ha accolto il ricorso di un cittadino e ha bocciato, nella sua sentenza il redditometro introdotto recentemente perché controllare le spese sostenute da ognuno di noi significa, secondo il tribunale di Pozzuoli, entrare nella sfera intima e personale dei cittadini e in sostanza viola la nostra privacy. Questa sentenza crea un precedente e sicuramente è destinata a far discutere a lungo su questo argomento, ovvero redditometro si o no?
Ma cosa è il redditometro?
Il redditometro è uno strumento introdotto per individuare i finti poveri e, quindi, l'evasione “spudorata” secondo l’Agenzia delle Entrate.
Il fine del redditometro è quello di stanare quei casi in cui alcuni contribuenti, pur evidenziando una elevata capacità di spesa, dichiarano redditi esigui, usufruendo talvolta anche di agevolazioni dello Stato sociale.
Ma talvolta di uno strumento introdotto per legge si tende a farne un abuso di diritto.
Il redditometro infatti si basa su delle medie stabilite dall’ISTAT ma come si può stabilire una media di spese che possa essere equa per tutti i cittadini e contribuenti?
Il giudice di Napoli infatti ritiene che lo strumento del redditometro annulla il diritto del contribuente e della sua famiglia di avere una vita privata ed impedisce anche, ad ogni contribuente, di gestire il proprio denaro . ma la cosa ancor più grave è che l’applicazione di accertamenti presuntivi dei reddito in base a delle stime ISTAT, pregiudica il diritto di difesa di tutti i contribuenti.
Il contribuente come potrebbe dimostrare di aver speso meno di quanto risulta dalla media stabilita dall’ISTAT?
A fronte della caratteristica di specificità della materia tributaria non sembra corretta la tecnica di genericità applicata dal redditometro.
1 disposizione introdotta dall’art. 22 del decreto legge n. 78/2010, alla quale il
decreto del 24 dicembre 2012 dà piena attuazione

Articolo a cura dell’avv. FLORIANA BALDINO del foro di Trani (BT) esperta in diritto civile e tributario Per contatti scrivere a: florianabaldino@gmail.com oppure telefonare a 3491996463

Nullo l’accesso e gli avvisi di accertamento delle Agenzie delle Entrate se accedono senza autorizzazione in locali ad uso promiscuo.

Sono sempre più numerose le sentenze favorevoli al cittadino/contribuente.
L’ultima arriva dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 4140/2013) depositata il 20 febbraio 2013, che regolamenta l’accesso da parte dell’Amministrazione Finanziaria nei luoghi dove viene svolta l’attività lavorativa del contribuente.
Ebbene si sa che l’Amministrazione Finanziaria ha la possibilità di accedere sul luogo di lavoro, per i dovuti controlli fiscali, senza bisogno di chiedere alcun permesso.
Ma la Cassazione in questa importante sentenza, ha stabilito che, nel caso in cui il luogo dove si svolge l’attività commerciale e/o professionale, ha parti comunicanti con l’abitazione del contribuente, ebbene in questo caso non potrà accedervi senza chiedere e ottenerne il permesso del Procuratore della Repubblica, perché detto locale va considerato ad uso promiscuo.
Se l’ Amministrazione Finanziaria invece procedesse all’accesso sul luogo del lavoro senza averne ottenuto la dovuta autorizzazione, tutti gli atti compiuti, l’accesso ma anche l’avviso di accertamento saranno invalidi, privi di qualunque effetto, in pratica saranno nulli.
Tutto questo è successo a Bari dove l’abitazione e la sede dell’attività imprenditoriale si trovavano in uffici distinti ma comunicanti, con porte che consentivano il passaggio diretto da un edificio all’altro, come risultava dagli atti catastali.
In questo caso quindi l’accesso effettuato senza l’autorizzazione della Procura è stato ritenuto illegittimo; ne consegue che l’atto di accertamento (e in generale gli atti compiuti) sono nulli in virtù del principio di inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita.
Quindi da oggi in poi per accedere al luogo ove il contribuente svolge la propria attività lavorativa, se esso ha parti comunicanti con l’abitazione stessa del contribuente, l’Amministrazione Finanziaria dovrà da adesso, farsi autorizzare, indicandone lo scopo dell’accesso, da capo del’’ufficio da cui dipendono, nonché autorizzazione del Procuratore della Repubblica perché il locale è ad uso promiscuo. Pena la nullità di tutto il procedimento.
Articolo a cura dell’avv. FLORIANA BALDINO del foro di Trani (BT) esperta in diritto civile e tributario Per contatti scrivere a: florianabaldino@gmail.com oppure telefonare a 3491996463

venerdì 22 febbraio 2013

Notifiche Equitalia. Cosa succede in caso di irreperibilità del destinatario delle cartelle?

Le notifiche delle cartelle di pagamento da parte di Equitalia sono sempre al centro di spinose questioni e sorgono sempre più contrasti in merito alla loro presunta regolarità.

Questa volta sotto accusa è la questione relativa alle notifiche fatte da Equitalia in caso di irreperibilità del destinatario.

A Livorno, infatti, succede che Equitalia notifica le proprie cartelle avvalendosi dei propri messi. Ma cosa succede se non trova nessuno presso l’indirizzo del destinatario della cartella? Ecco, succede che il messo di Equitalia, dichiarando di non trovare i destinatari presso l’indirizzo noto ed effettivo, lascia i propri avvisi alla casa Comunale.

Sicuramente la questione che riguarda le notifiche in caso di irreperibilità del destinatario non è di poca importanza, anzi tutt’altro.

Il problema che sorge in merito a questa specifica modalità di notifica è capire bene da quando bisogna poi considerare valida e perfezionata la notifica della cartella per calcolare da quella data i termini entro i quali è possibile fare opposizione alle cartelle stesse, considerando che i termini per le opposizioni non sono mai lunghissimi.

Ebbene la legge, in merito alla notifica delle cartelle di pagamento, dice che in caso di irreperibilità del destinatario la notifica della cartella si perfeziona dal giorno successivo a quello in cui l’avviso del deposito è affisso nell’albo del Comune secondo il principio della effettiva conoscenza. Questo significa che dal quel giorno cominciano a decorrere i termini per fare opposizione alle cartelle depositate presso la casa del Comune e non è importante se il destinatario abbia o meno consapevolezza dell’avvenuto deposito.

Quindi poi, quando il destinatario della cartella ha effettiva conoscenza del deposito della cartella presso la casa del Comune, potrebbero già essere scaduti i termini per fare opposizione.

Ebbene un perito industriale di Livorno ha fatto un esposto al procuratore, che in questi giorni sta esaminando il caso, proprio perché gli è stata contestata un opposizione fatta alle cartelle di Equitalia perché secondo gli agenti della Riscossione (Equitalia) l’opposizione era tardiva.

Nell’esposto depositato presso la Procura di Livorno, si fa riferimento ad una sentenza della Corte Costituzionale (Sentenza n. 258 del 22 novembre 2012) in cui viene dichiarato costituzionalmente illegittimo un particolare comma della legge delle disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito (comma 3 dell’art.26 del D.P.R. 29 settembre 1973).

Il motivo per cui la Corte ritiene illegittimo questo comma è per il fatto che vi è una disparità di trattamento, in caso di irreperibilità, tra chi riceve una notifica delle cartelle e chi riceve la notifica degli avvisi di accertamento. Infatti, per l’avviso di accertamento, trova applicazione un’altra disciplina ovvero si considera perfezionata la notifica nel momento in cui il destinatario riceve la lettera che contiene l’avviso di deposito presso la casa del Comune secondo il principio della effettiva conoscibilità dell’atto.

Questa disparità di trattamento, con riguardo all’ipotesi di irreperibilità cosiddetta “relativa” del destinatario e degli altri soggetti legittimati alla ricezione fa sì che trovino irragionevolmente applicazione due diversi procedimenti notificatori, a seconda che la notificazione riguardi un atto di accertamento o una cartella di pagamento.

La logica conseguenza è che chi è destinatario della cartella di pagamento depositata presso la casa Comunale non è messo nelle condizioni di pervenire ad una tempestiva ed effettiva conoscenza della cartella di pagamento notificata e, pertanto, subisce una ingiustificata lesione del suo diritto di difesa (cfr. anche pronunce della Corte costituzionale n. 366 del2007; n. 360 del 2003; n. 346 del 1998).

Articolo a cura dell’avv. FLORIANA BALDINO del foro di Trani (BT) esperta in diritto civile e tributario Per contatti scrivere a: florianabaldino@gmail.com oppure telefonare a 3491996463

Amministrazione di sostegno: che cos’è e come si chiede

Capita spesso che i soggetti più deboli della nostra società non abbiano un’adeguata protezione e un sufficiente aiuto nella cura della propria persona e del proprio patrimonio. Questo accade per i motivi più diversi: per esempio, la mancanza di parenti prossimi che si prendano cura di loro o particolari malattie che ne rendono difficoltosa l’assistenza, o ancora la natura dei disturbi da cui sono affette che ne impedisce l’interdizione o l’inabilitazione. L’amministrazione di sostegno soccorre tutte queste persone svantaggiate e che tuttavia hanno bisogno di assistenza continua e qualificata.
Basti pensare agli anziani che vivono soli e che, non avendo più familiari in grado di aiutarli, sono abbandonati a loro stessi; a coloro che sono ricoverati in ospedale e non possono muoversi; ai malati terminali o a tutti quelli che si trovano in coma o in stato vegetativo permanente; ai mutilati o ai disabili in genere; per non parlare di tutti coloro che hanno malattie o disturbi psichici temporanei. Sono tutti esempi di soggetti che non possono essere interdetti o inabilitati perché non dichiarabili infermi di mente, nemmeno a livello parziale, ma che hanno comunque bisogno di qualcuno che si occupi di loro in pianta stabile.
Un amministratore di sostegno è una persona che si affianca al soggetto bisognoso e, a seconda della situazione in cui versa quest’ultimo, lo supporta assistendolo o sostituendolo in alcuni o tutti gli atti che lo riguardano, come ad esempio le relazioni con la Pubblica Amministrazione, con banche ed enti previdenziali, la stipulazione di contratti, la prestazione del consenso a operazioni chirurgiche e atti di disposizione del proprio corpo come prelievi e donazioni di organi. In tutti questi casi è l’amministratore di sostegno ad agire in nome e per conto del beneficiario oppure ad affiancarlo personalmente nel compimento dei vari atti individuati.
 
Ciò che differenzia l’amministrazione di sostegno dall’interdizione da un lato e dall’inabilitazione dall’altro è che essa consente al beneficiario di mantenere una propria e maggiore autonomia su alcuni tipi di operazioni, concordando invece gli ambiti specifici di intervento dell’amministratore. Ad esempio si può prevedere che quest’ultimo affianchi l’interessato per tutte le vendite oltre un certo valore (vendite, donazioni ecc.). Al contrario, l’interdizione e l’inabilitazione sono provvedimenti più vincolanti e limitativi.
Il procedimento si instaura con una domanda [1] rivolta al Giudice Tutelare presso il Tribunale del luogo di residenza o domicilio del beneficiario. La domanda può essere avanzata dall’interessato o dai parenti più prossimi (figli, nipoti, ma anche suoceri e cognati), dal coniuge o dalla persona stabilmente convivente. Il giudice convoca tali soggetti, ove possibile, davanti a sé per discutere della domanda e farsi un’idea della situazione in cui versa il bisognoso di assistenza. Se ritiene fondate le ragioni presentate a sostegno della domanda, il magistrato nomina l’amministratore preferendo, nella scelta, i familiari dell’assistito (come, ad esempio, i genitori, i figli, fratelli e sorelle, il coniuge non separato legalmente o comunque la persona stabilmente convivente, i parenti entro il quarto grado) e lo autorizza al compimento degli atti richiesti e ritenuti necessari.
La persona interessata alla nomina di un amministratore di sostegno per sé stesso può preventivamente orientare la scelta del Giudice attraverso l’indicazione di colui che dovrà svolgere questa funzione, per il tempo in cui si renderà necessaria, in un atto pubblico o una scrittura privata autenticata.
 
(articolo dell'avv.to ENRICO BRAIATO pubblicato su www.laleggepertutti.it)

Istanze alla P.A.: l’ente deve rispondere alle email del cittadino

L’Amministrazione non può più far finta di niente: quando riceve un’email al proprio indirizzo di posta elettronica certificata, da parte del cittadino, contenente qualsiasi istanza, ha il dovere di rispondergli, fornendo tutte le informazioni necessarie. La legge “anticorruzione” appena varata [1] obbliga, infatti, ciascun ente a dotarsi di un indirizzo PEC e di renderlo noto tramite il proprio sito web istituzionale. A questo indirizzo, ciascun cittadino ha la facoltà di rivolgersi per trasmettere istanze [2] e ricevere informazioni circa i provvedimenti e i procedimenti amministrativi che lo riguardano.
La nuova legge compie un passo decisamente importante nella semplificazione dei rapporti tra P.A. e cittadino. In particolare, l’aspetto più importante è che quest’ultimo non ha l’obbligo di dotarsi, a sua volta, di un indirizzo di posta elettronica certificata per dialogare con gli enti pubblici. È sufficiente, al contrario, che invii una email semplice. A questa mail l’amministrazione ha sempre l’obbligo di fornire una risposta, anche se ha già predisposto un servizio di navigazione e informazione sul proprio sito.
L’email del cittadino, una volta arrivata a destinazione, verrà poi smistata attraverso i sistemi di protocollazione informatica.
Sorgono a questo punto due problemi.
Il primo è quello dell’identificazione del richiedente. Potendo questi inviare una email semplice e non necessariamente certificata, l’amministrazione potrebbe pretendere la scansione del documento di identità o gli estremi dello stesso.
Il problema, ovviamente, non si porrà per le aziende, già obbligate per legge a munirsi di una PEC.
Il secondo è quello di eventuali marche da bollo necessarie per la presentazione dell’istanza. Il pagamento dell’imposta non potrà costituire un ostacolo all’invio dell’istanza per email. Allora l’amministrazione dovrà indicare al cittadino le modalità per assolvere, in modalità telematica, al pagamento del bollo.
[1] Art. 1, comma 29, legge n. 190/2012, meglio nota come legge anticorruzione.
[2] Ai sensi dell’articolo 38 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.445, e successive modificazioni.

(Articolo del 21 febbraio 2013 pubblicato su www.laleggepertutti.it)

La grande beffa dei «furbetti del gas»

(Ansa/F. Lancia) MILANO - Quella dei «furbetti del gas» - della pattuglia di aziende e grossisti che lo scorso anno non ha pagato ingenti quantitativi di gas ritirati dalla Snam, ma egualmente venduti ai clienti finali - sembrava una vicenda avviata a conclusione. Dolorosa, ma definita con un «buco» stimato in circa 300 milioni di euro che non avrebbe però dovuto scaricarsi sulle bollette elettriche degli italiani, grazie anche agli interventi dell'Autorità. Ora emerge che il buco in questione è più ampio di quanto preventivato allora: si sarebbe arrivati a 430 milioni di mancati pagamenti, e, soprattutto, in questa cifra ci sarebbero circa 30 milioni di euro frutto di false fideiussioni. Una frode effettuata in primis ai danni della Snam e, a cascata, delle aziende in regola che ogni giorno non solo muovono ma devono anche garantire il cosiddetto «mercato del bilanciamento», una vera e propria «Borsa» del gas. Tuttavia, oggi come lo scorso anno, il timore è che questa cifra finisca per essere scaricata per vie traverse sulle spalle degli inermi consumatori e delle loro bollette, anche se dall'Autorità e dai soggetti interessati si giura che non sarà questo l'esito.

Vale la pena di ricapitolare la questione. A dicembre 2011 parte dopo lunga attesa il mercato del gas, una Borsa gestita dalla Snam in modo neutrale (è l'unica a poter garantire i volumi necessari) cui partecipano tutti i venditori e i trader. Per prendervi parte, e perché l'attività non si trasformi in speculazione finanziaria, bisogna rilasciare delle garanzie. Solo che qualche azienda fa ricorso al Tar e vince la causa: niente più garanzie. È l'inizio di gennaio, e perché la situazione si ristabilisca bisogna attendere qualche mese, dopo l'intervento dell'Autorità e del Consiglio di Stato. Nel frattempo, però, qualche "furbetto" ha approfittato dell'assenza di obbligo di copertura. Si è fatto cioè consegnare del gas dalla Snam, senza o con scarse garanzie, e non ha pagato le fatture. Tra costoro qualcuno si rimette poi in riga e avvia una transazione. Altri no. Qualche sigla societaria appare e poi sparisce, tanto che la Snam chiude i contratti di trasporto con le aziende inadempienti più «sospette». Ad esempio con la En Gas & Oil spa. E da ultimo, dal 26 gennaio scorso, con la Demas Power Sa, società costituita a Lugano lo scorso giugno. Risulta dalle delibere dell'Autorità che nel novembre precedente la stessa Snam aveva segnalato che avrebbe dovuto sottoscrivere un contratto con un'azienda «in stretta relazione» con un cliente precedente che non aveva pagato.
L'Autorità per l'energia, che alla notizia dei primi scoperti ha già aperto un'indagine, avverte comunque la Snam che non potrà stare con le mani in mano, e che non avrà diritto ad alcun rimborso se non farà di tutto per arginare il fenomeno.
Nei fatti, comunque, la stima iniziale dei «danni» lievita. Dopo la reintroduzione delle garanzie si era preventivata una cifra di circa 300 milioni. Ma dopo aver fatto tutti i conti e i conguagli si arriva a 430 milioni. Un bel bottino, non c'è che dire. Ma, a sorpresa, in quella somma spuntano anche una trentina di milioni che derivano dalla presentazione di fideiussioni false, un atto che fa passare la questione dalla competenza amministrativa a quella penale. È probabilmente per questo motivo che l'inchiesta dell'Autorità viene più volte prolungata. Avrebbe dovuto chiudersi prima a ottobre, poi a fine anno, ma risulta ancora in corso proprio per la delicatezza della matassa da sbrogliare. Nessuna dichiarazione ufficiale filtra dai protagonisti, solo che «non un euro» verrà impropriamente messo a carico dei cittadini-consumatori. Ma a vedere come sono andate le cose nel caso della «Robin-tax» (segnalato dalla stessa Autorità pochi giorni fa) c'è da avere qualche legittimo timore.

giovedì 21 febbraio 2013

Assicurazioni auto, 15 giorni di tolleranza per pagare

Circolare del ministero dell’interno

Chi viene pizzicato con l’assicurazione appena scaduta non incorrerà più in misure punitive. Per legge infatti ogni compagnia ora deve assicurare quindici giorni di copertura rc auto gratuita che permettono all’utente stradale di circolare in regola anche con il contrassegno appena scaduto.
Lo ha chiarito il ministero dell’interno con la circolare n. 300/A/1319/13/101/20/21/7 del 14 febbraio 2013. Con l’entrata in vigore del dl 179/2012 la questione della tradizionale franchigia per il rinnovo delle polizze è stata messa a dura prova. Concretamente, alla luce delle previsioni del codice civile e del codice delle assicurazioni private, prima dell’entrata in vigore del dl 179, il contratto assicurativo rc auto che prevedeva il tacito rinnovo si intendeva prorogato alla scadenza, con una tolleranza di quindici giorni durante i quali sussisteva la copertura assicurativa pur in assenza del pagamento del premio.
Di fatto questa condizione era difficilmente verificabile in sede di controllo per cui la polizia in caso di tagliando scaduto spesso procedeva intimando al conducente di esibire successivamente la documentazione attestante la copertura assicurativa regolare. Con l’entrata in vigore del dl 179 le cose sono cambiate. Il testo originario del decreto ha infatti introdotto una durata massima dei contratti pari a un anno, vietando altresì specificamente il loro tacito rinnovo.
Con la conversione in legge del provvedimento urgente sono state confermate queste nuove disposizioni, con l’aggiunta di ulteriori novità. In dettaglio la legge 221/2012 dispone espressamente che il contratto assicurativo si risolve automaticamente alla scadenza naturale. Inoltre, la garanzia prestata con il precedente contratto resta operante per quindici giorni dopo la scadenza, fino all’effetto della nuova polizza. L’impresa di assicurazione dovrà avvisare il contraente della scadenza del contratto con un preavviso di almeno trenta giorni.
Poiché la norma prevede espressamente l’estensione della copertura assicurativa alla scadenza annuale, specifica il ministero, «per un limitato periodo di quindici giorni dalla scadenza, l’assicurato, in attesa di sottoscrivere altro contratto in tempo utile, durante tale periodo può continuare a esibire il certificato e il contrassegno scaduti». In buona sostanza mentre la precedente disposizione imponeva alla polizia stradale di verificare sempre la continuità della copertura assicurativa la nuova previsione è molto semplificata.
Tutti i contraenti hanno ora a disposizione quindici giorni di estensione della copertura assicurativa rc auto gratuita. Alla luce di questa novella, conclude il Viminale, si ritiene non più sanzionabile ai sensi degli articoli 180 e 181 del cds la circolazione del veicolo con il certificato e il contrassegno assicurativo scaduti, atteso che, la garanzia assicurativa prestata con il precedente contratto è estesa in ogni caso, non oltre il quindicesimo giorno dalla data di scadenza dello stesso.
 
Autore: Stefano Manzelli – ItaliaOggi (Articolo originale)

mercoledì 20 febbraio 2013

Cartella Equitalia: valida la notifica col postino?

La questione della notifica delle cartelle esattoriali resta sempre al centro di una spinosa polemica.
Da un lato, alcuni tribunali [1] hanno ritenuto nulle le notifiche avvenute a mezzo del normale servizio postale. Secondo tali magistrati, la legge [2] richiede che la notifica possa avvenire solo a cura di:
- ufficiali della riscossione
- agenti della Polizia Municipale
- messi Comunali, previa convenzione tra Comune e Concessionario;
- altri soggetti abilitati dal Concessionario nelle forme previste dalla legge.
Tali soggetti sarebbero gli unici autorizzati, a partire dal 1° luglio 1999, a procedere alla notifica di tale atto mediante raccomandata con avviso di ricevimento.
Invece è noto che Equitalia e gli altri agenti della riscossione si continuano a valere del normale servizio postale pubblico.
Questa tesi, per quanto sposata da diverse Commissioni Provinciali, non è tuttavia unanime e pacifica. L’ultima sentenza di segno opposto è uscita qualche giorno fa dalla stessa Cassazione [3]. Secondo la Suprema Corte, la cartella esattoriale può essere notificata anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento. In tal caso, è sufficiente, per il relativo perfezionamento, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senza bisogno di altri adempimenti da parte dell’ufficiale postale, se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione firmi il registro di consegna della corrispondenza e l’avviso di ricevimento da restituire al mittente. Formalità queste che, come noto, avvengono sempre e in modo assai preciso quando il postino “bussa” a casa.
Indicazione delle generalità del destinatario
Le brutte notizie per i debitori non finiscono qua. Il postino non è tenuto a verbalizzare il nome e cognome del ricevente. Nessuna norma infatti – dice la Cassazione – prevede l’obbligo che l’avviso di ricevimento da restituire al mittente contenga le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato. Basta la semplice firma. Pertanto, se tale indicazione manchi e la relativa firma sia leggibile, la notifica resta valida. Infatti, è il postino stesso, in quanto pubblico ufficiale, a dover preventivamente accertarsi che chi firma l’atto sia anche il suo effettivo destinatario, provvedendo a identificarlo.
[2] Si ritiene che l’art. 26 del d.P.R. n. 602/1973, norma specifica in materia di notifica della cartella di pagamento, presenta le seguenti connotazioni:
“1) afferma, nel proprio primo comma, che la cartella di pagamento deve essere notificata dagli ufficiali della riscossione o dagli altri soggetti che a ciò sono abilitati dal concessionario od anche, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale (e non da altri soggetti, sicché tale elencazione dei soggetti muniti del potere di notifica della cartella deve ritenersi tassativa);
2) dispone di seguito, nello stesso comma, che la suddetta notificazione può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso la cartella è notificata in plico chiuso e si considera avvenuta nella data che è indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da uno dei soggetti legittimati alla ricezione;
3) prevede, nel secondo comma, che la possibilità di notificare la cartella di pagamento a mezzo di posta elettronica certificata (cosiddetta P.E.C.) con le modalità di cui al D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68 (nel quale non è specificato chi sia il soggetto munito del potere di notificazione con tale mezzo, in quanto, nell’elencazione e qualificazione dei ‘soggetti del servizio di posta elettronica certificata’, si rinviene un mero riferimento al ‘mittente, cioè l’utente che si avvale del servizio di posta elettronica certificata per la trasmissione di documenti prodotti mediante strumenti informatici’), ed esclude espressamente l’applicabilità dell’art. 149 bis del codice di procedura civile (inserito dall’art. 4, comma 8, D.L. 29.12.2009, n. 193 con decorrenza dal 31.12.2009) (…);
4) dispone, nel proprio comma 4, l’obbligo, per il concessionario, di conservare per cinque anni, la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso del ricevimento, e di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione;
5) dispone infine, nel comma 5, che ‘per quanto non è regolato dal presente articolo si applicano le disposizioni dell’art. 60 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
[3] Cass. sez. Trib., sent. n. 1091 del 17.01.2013.
 

lunedì 18 febbraio 2013

Falsi dirigenti dell’Agenzia Entrate e cartelle esattoriali nulle: la sentenza della CTP di Messina

Dalla Commissione Tributaria di Messina arriva la prima sentenza [1] che annulla le cartelle emesse dall’Agente di riscossione a seguito ad atti di iscrizione a ruolo di imposte firmati da soggetti privi del potere di sottoscriverli.
Lo scandalo dei “falsi dirigenti nominati presso le Agenzie delle Entrate (vi rinviamo al nostro precedente articolo: “Nulli gli atti di Equitalia e Agenzia Entrate: firmati da falsi dirigenti”) aveva fatto il giro d’Italia. Si attendevano anche le prime pronunce che, evidentemente, non stanno tardando ad arrivare.
Nel caso di specie, era successo che un tribunale [2] aveva sospeso l’efficacia di una delibera [3] di conferimento dell’incarico a dirigente nei confronti di un dipendente dell’Agenzia delle Entrate di Messina. Nonostante ciò, il presunto Direttore continuava a firmare gli atti di iscrizione a ruolo dei tributi che, a loro volta, finivano incorporati nelle cartelle esattoriali.
Quando il contribuente si è accorto di ciò, ha fatto ricorso alla Commissione Tributaria. Il giudice ha accolto il ricorso e annullato la cartella.
A dire della dott.ssa Randaccio, che avevamo intervistato nel predetto articolo, ciò sarebbe avvenuto assai spesso.
La sentenza della Commissione Tributaria di Messina affronta in modo molto serio il problema, arrivando ad annullare le cartelle esattoriali emesse sulla base dei tributi firmati dal falso dirigente.
Affinché un atto amministrativo sia esistente e valido – ha specificato il giudice – deve essere completo di tutti i suoi elementi essenziali, ivi compresa la firma del dirigente. Se tuttavia un precedente atto ha sospeso l’efficacia dell’incarico di quest’ultimo, tutti gli atti da lui firmati e quelli di conseguenza emessi sono invalidi [4].
Anche la Cassazione, in precedenza, aveva stabilito che l’esistenza dell’atto dell’amministrazione non dipende dall’apposizione del sigillo o del timbro o da una sottoscrizione leggibile, ma piuttosto dal fatto che, al di là di questi elementi formali, esso sia riferibile, in modo inequivoco, all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo: cioè, nel caso di specie, all’agenzia delle entrate.
Gli atti emanati da falsi dirigenti vanno dichiarati dunque inesistenti fin dal giorno della loro emanazione e, insieme a loro, tutti gli atti di riscossione (di Equitalia e degli altri agenti di riscossione).
Articolo a cura dell’avv. FLORIANA BALDINO del foro di Trani (BT) esperta in diritto civile e tributario Per contatti scrivere a: florianabaldino@gmail.com oppure telefonare a 3491996463
[1] CTP Messina, sent. n. 128/2013
[2] Trib. Messina, sez. lavoro, ord. del 20.04.2011.
[3] Deliberazione n. 2010/180679 del 27.12.2010.
[4] La Corte Costituzionale, con sentenza n. 208/1992, ha negato l’applicazione analogica delle legge n. 444 del 1994 sulla proroga dei poteri dei funzionari ed ha sostenuto che il meccanismo dello prorogatio non opera automaticamente allo scadere del mandato del titolare dell’organo. Se è previsto per legge che gli organi amministrativi abbiano una certa durata e che quindi la loro competenza sia temporalmente circoscritta, un’eventuale prorogatio di fatto sine die – demandando all’arbitrio di chi debba provvedere alla sostituzione di determinarne la durata pur prevista a termine dal Legislatore ordinario – violerebbe il principio della riserva di legge in materia di organizzazione amministrativa, nonché quelli dell’imparzialità e del buon andamento.
La legge concede un termine molto stretto ovvero 45 giorni per ricostituire l’organo la cui nomina è stata dichiarata inefficace e con la conseguenza che, scaduto detto termine senza che si sia provveduto alla sua ricostituzione, l’organo Amministrativo decade e tutti gli atti adottati dall’organo decaduto sono nulli così come sono nulli gli atti emanati nel periodo di proroga.
[5] Cass. sent. n. 4557 del 2009
 

venerdì 15 febbraio 2013

AGENZIA DEBITI, LA DOPPIA BEFFA

Agenzia Debiti, la doppia beffa

di Federico Formica
 
Il fallimento della debt agency più chiacchierata degli ultimi mesi rischia di mettere in ginocchio molte famiglie italiane, che in alcuni casi hanno sborsato migliaia di euro per far chiudere un debito o evitare un pignoramento. E ora si prospetta anche l'incubo disoccupazione per oltre 200 dipendenti
(30 gennaio 2013)
L homepage del sito di Agenzia Debiti
Doveva aiutare i consumatori a chiudere i debiti con banche, finanziarie ed Equitalia. Invece è stata proprio Agenzia Debiti a portare i libri in tribunale. Un paradosso che farebbe sorridere, se non fosse che il fallimento della debt agency più chiacchierata degli ultimi mesi rischia di mettere in ginocchio molte famiglie italiane, che in alcuni casi hanno sborsato migliaia di euro per far chiudere un debito o evitare un pignoramento. Adesso è iniziata la corsa contro il tempo: entro il 25 marzo chi ha pagato con bonifici, assegni o cambiali la società fallita dovrà presentare l'istanza di ammissione al passivo presso il tribunale di Milano. Altrimenti rischia di non rivedere mai più i soldi versati.

Agenzia Debiti è fallita il 30 novembre 2012. Nella sede di Milano non risponde più nessuno e le mail che abbiamo mandato alla responsabile della comunicazione sono tornate indietro. Ma se la bancarotta è recente, la storia è nota da tempo. Già dai primi mesi del 2012, infatti, molte associazioni di consumatori hanno denunciato la spregiudicatezza dell'azienda. Che prometteva di ridurre i debiti fino al 70% grazie al lavoro di mediazione di avvocati "con anni di esperienza e ottimi rapporti con il mondo delle banche", come recitavano gli addetti al call-center. I clienti venivano munti fin da subito: Agenzia Debiti chiedeva 390 euro solo per aprire la pratica e fare le visure, sulla base dei documenti che lo stesso cliente spediva con un plico. A seconda dell'entità del debito la parcella ammontava fino a diverse migliaia di euro da pagare in anticipo. C'è chi ne ha versati anche 10.000.

Ma c'è dell'altro. Come denunciato da molti consumatori e da un ex dipendente, spesso Agenzia Debiti consigliava ai clienti di non onorare le rate di un finanziamento, in modo da arrivare alla procedura del saldo e stralcio. Funziona così: se un debitore viene considerato inaffidabile dal creditore, il suo debito viene venduto– a prezzo stracciato – a una società terza, che si accolla il rischio di non rivedere più quei soldi e, quindi, tartassa il debitore con lettere e telefonate. Qui interveniva Agenzia Debiti che trattava con la società terza (detta anche società di factoring) al posto del debitore. Per questa mediazione il cliente pagava una cifra tra il 5 e il 15% del debito iniziale. Nel frattempo, però, entrava anche nel registro dei cattivi pagatori, azzerando le possibilità di ottenere prestiti in futuro.

Creditori o debitori? Ora la palla passa al tribunale di Milano. Il prossimo appuntamento è fissato per il 24 aprile, quando si terrà l'udienza di verifica dei crediti. Ma c'è un altro paradosso: ad oggi i consumatori rimasti con il cerino in mano non hanno alcun diritto. Anzi, sono debitori anziché creditori di Agenzia Debiti. Perché hanno firmato un contratto che li ha impegnati a versare una somma in cambio di un servizio. Il giudice delegato Irene Lupo è attesa da un compito delicatissimo: valutare caso per caso e stabilire se i contratti firmati erano delle truffe o, semplicemente, non sono stati onorati. Decidere, cioè, se i clienti caduti nella rete di Agenzia Debiti hanno diritto a riavere i propri soldi oppure no.

"La mole di lavoro è enorme, stiamo ancora mettendo in ordine tutte le carte. Consiglio ai clienti di rivolgersi alle associazioni di consumatori per tutelarsi" spiega a l'Espresso l'avvocato Luigi Carlo Ravarini, curatore fallimentare, "Sempre che il giudice li riconosca come creditori, per i clienti sarà difficile riavere le somme versate. La situazione di Agenzia Debiti è molto grave. Ad ogni modo, se non si presenta la richiesta di ammissione al passivo entro il 25 marzo ci si preclude anche questa possibilità".

Lavoratori a spasso. Agenzia Debiti ha seguito lo stesso destino di Baldini & Partners, la società che dall'agosto 2011 ha gestito il marketing e soprattutto le attività del call center, il vero core-business della debt agency. La B&P è fallita il 26 ottobre 2012 e i vertici della società sono stati arrestati a settembre. Il Pm milanese Stevano Civardi ipotizza per l'avvocato Mariano Baldini l'associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta e al riciclaggio di denaro. Insieme ad altre quattordici persone avrebbe protetto denaro proveniente anche da famiglie camorriste.

giovedì 14 febbraio 2013

BONUS BEBE': ECCO IL DECRETO

È stato appena pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale [1] il decreto del Ministro del Lavoro [2] che dà il via libera al bonus bebè per le mamme lavoratrici.
Per facilitare il rientro al lavoro dopo la maternità obbligatoria, lo Stato contribuirà con 300 euro al mese per le spese di asilo o babysitter. La mamma dovrà però rinunciare, per ogni mese di incentivo, al corrispondente periodo di astensione facoltativa. Si presume, infatti, che i soldi erogati serviranno per pagare la babysitter mentre la madre svolge le proprie funzioni lavorative. Sarebbe, invece, in contrasto con le finalità del bonus il pretendere di usufruire sia dell’incentivo economico che dell’astensione dal lavoro.
A riguardo, la norma dispone che la madre lavoratrice, al termine del periodo di congedo di maternità e negli undici mesi successivi, ha la facoltà di richiedere, al posto del congedo parentale, un contributo utilizzabile alternativamente per il servizio di baby-sitting o per asili nidi pubblici o privati.
La richiesta può essere presentata anche dalla lavoratrice che abbia già usufruito in parte del congedo parentale.
Il contributo di 300 euro mensili potrà essere erogato per massimo sei mesi.
Il contributo per il servizio di baby-sitting verrà erogato attraverso il sistema dei buoni lavoro, mentre nel caso di fruizione della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati, il beneficio consisterà in un pagamento diretto alla struttura prescelta.
Arriva anche il congedo obbligatorio per i papà dipendenti che, entro il quinto mese di vita del figlio, potranno restare a casa un giorno senza perdere la retribuzione. Gli stessi papà, inoltre, potranno godere di due giorni di congedo facoltativo, sempre pagati al 100%, a condizione che la mamma rinunci a due giorni del proprio congedo.
Ai fini di tale congedo, il padre dovrà comunicare per iscritto, al datore di lavoro, i giorni in cui intende fruirne, con un anticipo non minore di quindici giorni.
[1] Gazz. Uff. n. 37 del 13 febbraio 2013.
[2] Min. Lav. decr. 22 dicembre 2012

(www.laleggepertutti.it)

martedì 12 febbraio 2013

Alzheimer: la retta per la degenza dei malati non può essere pretesa dal Comune


La Corte di Cassazione ha emesso, a marzo di quest’anno, una sentenza rivoluzionaria [1]: dando torto a un Comune veneto, ha stabilito che i familiari dei malati di Alzheimer non devonoversare alcuna retta ai Comuni per il ricovero dei loro cari in strutture per lungodegenti. Tali prestazioni, infatti, sono a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale.

La particolare degenza che implica l’Alzheimer – ha sottolineato la Cassazione – non consente di fare distinzione tra spese per la cura spese per l’assistenza, ma entrambi gli importi sono a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale.

I fatti: il marito e i figli di una donna affetta da Alzheimer, malattia che progressivamente aveva reso quest’ultima non più autosufficiente e per questo bisognosa di assistenza (anche per deglutire), avevano deciso di ricoverare la malata in una casa di cura comunale (struttura per lungodegenti).
Il Comune di residenza della famiglia aveva preteso una retta per l’assistenza, oltre ai costi del ricovero sanitario vero e proprio: la famiglia, infatti, non risultava indigente. I familiari si sono opposti a tale pretesa di pagamento e la questione è finita sul tavolo della Cassazione che si è schierata accanto alle famiglie dei malati di Alzheimer. In particolare, la Suprema Corte ha affermato che:
a) quando ci sono condizioni di salute che richiedono una stretta correlazione tra prestazioni sanitarie e assistenziali, tale da determinare la totale competenza del Servizio Sanitario Nazionale, non è possibile la determinazione di quote come quelle richieste dal Comune in questione.
b) la distinzione tra cura e assistenza presuppone che le prestazioni si possano scindere. E nei malati di Alzheimer le prestazioni non si possono scindere, ed anzi le prestazioni di natura non sanitaria per questo tipo di patologia assumono un carattere marginale e accessorio.

Anche se il Comune aveva fatto notare alla Suprema Corte di essersi adeguato alla normativa regionale, per la Cassazione ciò che più conta in fatto di sanità è “il diritto alla salute protetto dalla Costituzione come diritto inviolabile alla dignità umana”.


[1] Cass. sent. n. 4558 del 27 marzo 2012

(articolo dell'Avv.to Baldino Floriana pubblicato su www.laleggepertutti.it)