Il lavoratore ha il diritto di essere risarcito per le vessazioni o le discriminazioni subite dal capo e dai colleghi sul luogo di lavoro, anche se manca la prova che si sia trattato di mobbing. La Corte di cassazione (sentenza 18927) consapevole della difficoltà di dimostrare il mobbing spiana la strada al risarcimento del danno anche quando gli episodi che mortificano il dipendente non fanno parte di un "disegno persecutorio".

Troppo sbrigativa, secondo la sezione lavoro, la scelta dei giudici di merito di escludere il nesso depressione-vessazioni, in assenza della prova regina del disegno persecutorio. "Nell'ipotesi in cui il lavoratore chieda il danno patito alla propria integrità psico-fisica – si legge nella sentenza – in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente vassatoria, il giudice di merito, pur nella accertata insussistenza di un accertamento persecutorio idoneo a unificare tutti gli episodi addotti dall'interessato e quindi della configurabilità del mobbing, è tenuto a valutare se alcuni comportamenti denunciati –esaminati singolarmente ma sempre in relazione agli altri – pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio, possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e come tali siano ascrivibili alla responsabilità del datore di lavoro…" I giudici della corte d'Appello di Napoli sono dunque chiamati a riesaminare il caso attenendosi a questo principio.
(Articolo di Patrizia Maciocchi reperibile al link http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2012-11-05/lavoratore-discriminato-risarcito-anche-175210.shtml?uuid=AbxXYK0G)
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