Gli istituti di credito si erano difesi sostenendo che la richiesta avanzata non atteneva alla comunicazione dei dati personali dell'interessato ma, piuttosto, si riferiva ai pagamenti effettuati dal soggetto nel corso del rapporto contrattuale e, pertanto, i tempi per rispondere alla richiesta erano stati influenzati da attività relative alla chiusura dell'anno finanziario ed alle festività. La vicenda si è conclusa con la pronuncia della Corte che, richiamato un precedente (sentenza 349/2013) ha confermato che la richiesta di accesso ai dati personali deve essere soddisfatta "senza ritardo" da parte del soggetto destinatario, titolare del trattamento. Il giudice di merito ha considerato perentorio il termine di 15 giorni stabilito dall'articolo 146, D.lgs. 196/2003, che si configura quale congruo "spatium deliberandi" al fine di elaborare e consegnare le informazioni da comunicare al cliente interessato, chiarendo che lo scopo della norma invocata è quello di "garantire, a tutela della dignità e riservatezza del soggetto interessato, la verifica dell'avvenuto inserimento, della permanenza, ovvero della rimozione" di dati personali, e ciò indipendentemente dalla circostanza che tali eventi fossero già stati portati in altro modo a conoscenza dell'interessato. Nella sentenza della Suprema Corte si legge inoltre che tale verifica può essere attuata "mediante l'accesso ai dati raccolti sulla propria persona in ogni e qualsiasi momento della propria vita relazionale".
lunedì 21 ottobre 2013
Cassazione: accesso ai dati personali in ambito bancario
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