sabato 17 novembre 2012

RISCOSSIONE ED ACCERTAMENTO IMMEDIATAMENTE ESECUTIVO

Con la manovra 2010, è stata abolita la tanto detestata cartella di pagamento per la riscossione delle imposte sui redditi, IVA e IRAP. Ma questo non vuol dire che il contribuente debba tirare un sospiro di sollievo. Anzi. C’è poco da esultare.
Infatti, la cartella di pagamento era un titolo esecutivo che preannunciava una imminente esecuzione forzata e dava al cittadino, quantomeno, il tempo di rendersi conto di ciò che stava per accadere ed, eventualmente, provvedere… “ai ripari”. Oggi invece, questa fase intermedia non esiste più. Ma vediamo meglio nel dettaglio cosa è successo.
Al posto della cartella di pagamento viene inviato al contribuente l’avviso di accertamento: si tratta di un atto immediatamente esecutivo, che non necessita quindi della successiva cartella di pagamento per consentire ad Equitalia di procedere ad esecuzione forzata.
Se prima della riforma, dunque, i provvedimenti impositivi dell’Amministrazione, per poter consentire un’esecuzione forzata contro il cittadino necessitavano di due momenti:
- l’iscrizione a ruolo della somma (cosiddetto “ruolo esattoriale”)
- la notifica della cartella esattoriale
oggi invece questi due passaggi sono stati eliminati.
La conseguenza pratica è che, adesso, tutti i provvedimenti impositivi dell’Amministrazione relativi a imposte sui redditi, IVA e IRAP hanno oggi già essi stessi efficacia esecutiva. Il nuovo “avviso di accertamento” funge da titolo esecutivo e da precetto [1] ed è immediatamente esecutivo. In termini pratici, il contribuente, se non vuole subire esecuzione forzata, deve pagare già con l’avviso di accertamento, poiché non riceverà ulteriori avvisi o atti prima di vedersi pignorata la casa.

Per tali imposte, dunque, la fase di accertamento dell’imposta e quella di riscossione coincidono in un unico momento. Se prima, infatti, si transitava prima per l’accertamento del tributo (con la notifica dell’avviso di accertamento e di liquidazione) e poi si passava alla riscossione (con l’iscrizione a ruolo dell’imposta e la notifica della cartella), oggi i due momenti coincidono in un unico atto impositivo, al fine di rendere più celere la riscossione fiscale.
 Gli atti
Gli atti investiti della nuova disciplina della riscossione “concentrata” sono
- gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate, ai fini delle imposte dirette sui redditi, dell’IRAP e dell’IVA;
- i connessi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni;
- i successivi atti da notificare al contribuente, anche a mezzo di raccomandata a.r., nei casi in cui siano state rideterminate le somme dovute.
Tale nuova disciplina riguarda inoltre solo gli atti emessi a partire dal 1 luglio 2011. Per quelli anteriori permane la precedente normativa.
 
I termini
Entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento, il contribuente è quindi tenuto a pagare gli importi richiesti dall’Amministrazione. In particolare egli è tenuto a corrispondere:
- l’intera imposta;
- gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo.
 
Fare causa non sempre conviene
Spesso si ritiene, erroneamente, che la presentazione di un ricorso contro l’avviso di accertamento sia un modo per ritardare il pagamento. Non è più così. Infatti, nonostante la presentazione del ricorso, il contribuente è comunque tenuto a pagare 1/3 dell’imposta che potrà pagare subito, già alla notifica dell’avviso di accertamento, senza aspettare anche la notifica della cartella di pagamento (nel qual caso, infatti, dovrebbe anche pagare l’aggravio dell’aggio dovuto all’Ente di riscossione).
Si, avete letto bene: anche se il contribuente fa ricorso al giudice contro l’atto dell’amministrazione, deve comunque pagare almeno un terzo di quanto gli viene chiesto. E ciò, probabilmente, oltre che per dare respiro alle casse erariali, anche per disincentivare i ricorsi dilatori o strumentali.
È bene dunque sapere che già entro 60 giorni dal ricevimento dell’avviso di accertamento il contribuente dovrà decidere se:
- pagare: e in tal caso dovrà corrispondere l’imposta più gli interessi;
- fare ricorso: e in tal caso dovrà corrispondere già 1/3 dell’imposta. Se non lo fa, riceverà la cartella di pagamento con l’aggravio dovuto all’aggio (ossia quella percentuale dovuta all’Ente di Riscossione per la sua attività);
- non pagare: e in tal caso sottostare all’esecuzione forzata, fermo restando che dovrà corrispondere le somme maggiorate. Tali maggiorazioni consisteranno in 1) imposte e sanzioni; 2) interessi per la ritardata iscrizione a ruolo; 3) interessi di mora dal giorno della notifica dell’atto a quello in cui è avvenuto il pagamento; 4) gli aggi della riscossione pari al 9%; 5) le spese esecutive.
Se non si paga
Dopo 60 dalla notifica, l’avviso di accertamento diventa esecutivo: esso cioè diventa definitivo, non più impugnabile da parte del cittadino e consente l’esecuzione forzata a carico del debitore.
Difatti, nei successivi 30 giorni (dalla scadenza del termine suddetto di 60 giorni, ossia 90 giorno dopo la notifica dell’avviso di accertamento), viene incaricato l’agente di riscossione per il recupero coattivo del credito (senza più bisogno, come detto, di procedere alla iscrizione a ruolo del tributo e la notifica della cartella esattoriale [2]).
ATTENZIONE, dunque: il cittadino non riceverà più a casa, per imposte sui redditi, IVA e IRAP la consueta cartella di pagamento di Equitalia, ma potrebbe per es. vedersi direttamente pignorato lo stipendio.
Quando scade l’avviso
L’esecuzione forzata deve essere iniziata necessariamente entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, altrimenti l’Amministrazione decade dall’esercizio del proprio potere di riscossione e il cittadino è libero.
Per interrompere questo termine, l’Amministrazione deve procedere alla notifica dell’atto di pignoramento. Non è sufficiente quindi, per interrompere il termine, adottare semplicemente provvedimenti come fermi, ipoteche, ecc.
Quali alternative per il contribuente?
Il contribuente che riceva un avviso di accertamento può comportarsi in diversi modi. A lui, infatti, si profilano diverse alternative, a seconda che intenda impugnare l’atto o che non intenda invece non impugnarlo.
[1] La funzione del precetto è assolta dall’inclusione, nel corpo dell’atto, anche dell’intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all’obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, oppure, in caso di proposizione del ricorso ed a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall’art. 15 del DPR 602/73 (la metà di quanto intimato). In tale ultimo caso, il versamento delle somme dovute deve avvenire entro 60 giorni dal ricevimento della raccomandata.
[2] Non si attende il termine di 30 giorni nel caso in cui sussista un fondato pericolo per il positivo esito della riscossione. In tal caso, già dopo i 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento, la riscossione delle somme può essere affidata agli agenti della riscossione, prima che sia decorso il termine dei 30 giorni.
 
(FONTE: articolo della redazione del 16/11/2012 pubblicato su www.laleggepertutti.it)

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