sabato 15 dicembre 2012

Ingiuria per interposta persona: “digli di andare a fan…” è reato?

L’ingiuria – quando cioè l’offesa viene fatta in presenza della vittima – può ben essere realizzata anche attraverso una frase rivolta ad un terzo soggetto, purché la vittima medesima riesca in qualche modo a sentire l’espressione. “Digli di andare a fan…” è il classico esempio.

L’esprimere giudizi, anche forti, nei confronti di una persona, confidandoli però ad un terzo, senza che altri o la vittima possano sentirli, non è considerato dalla legge un reato.

Se il messaggio è rivolto ad almeno due persone – anche se non presenti contestualmente – si ha il reato di diffamazione (per es.: Tizio discute con Caio e Sempronio, parlando male di Muzio).

Se invece il messaggio è trasmesso alla presenza del soggetto interessato, allora si haingiuria (per es.: Tizio parla con Caio e, durante la discussione, gli rivolge una serie di insulti).

Se infine Tizio discute con Caio e, nel corso della discussione, parla male di Sempronio, e Sempronio non è presente o comunque non sente, egli non commette alcun reato.
Mettiamo però che Sempronio riesca casualmente a percepire l’offesa. Così è successo nel caso sottoposto all’attenzione del Giudice di Pace di Brindisi [1]: una persona parlava male del collega di lavoro ad un altro collega e, proprio mentre pronunciava l’offesa, l’interessato si è affacciato nella stanza, percependo tutto il discorso.
Ebbene, il dubbio è se questa espressione, pur se non rivolta al destinatario, possa essere considerata una “ingiuria” e quindi costituisca reato.

L’interpretazione data dal Giudice di Pace di Brindisi [1] è nel senso di punire l’incauto irriverente che non aveva “chiuso la porta”.
Insomma: “in camera caritatis” tutto è consentito. Ma guai se i muri hanno orecchie.

[1] G.d.P. Brindisi, sent. n. 110/2012.

(articolo di redazione del 13dicembre2012 di www.laleggepertutti.it)

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